All’esame autoptico, eseguito dall’ormai noto anatomopatologo Professor Sasikala, un passaggio preciso contenuto a pag 4 dell’allegato agli atti, specifica che il proiettile rinvenuto nella teca cranica avesse un’ogiva di 31 millimetri, con una circonferenza di 21 mm alla base e 24 nella parte più larga. E in questo preciso passaggio ebbero inizio le contestazioni perché, i fucili Beretta AR 70/90 in dotazione ai due militari, montano un calibro 5,56 NATO, quindi 23 millimetri.
Ricordiamo che i fucilieri ammisero un fuoco di sbarramento, perfettamente in linea con il protocollo cui attenersi in caso di emergenza e, un’imbarcazione che punta a tutta velocità perpendicolarmente al fianco dell’imbarcazione Enrica Lexie, è un’emergenza che prevede la presa del comando della nave da parte dell’uomo 1 e 2 facenti funzione. Esattamente ciò che Girone e Latorre misero in atto.
Non solo, altri episodi emersero da questa vicenda, fra questi vale la pena ricordare l’impedimento a lasciare l’India da parte del nostro, al tempo, ambasciatore Daniele Mancini di stanza in Dehli: di fatto un sequestro di persona senza precedenti.
O potremmo affrontare il discorso inerente le coordinate nelle quali si verificò il fatto, dettaglio fossero acque contigue a largo di Kerala e dettaglio che il distretto di Kerala non potesse essere ritenuto competente nell’istruire un processo a carico di due militari.
Forse non varrebbe nemmeno la pena affrontare tutto questo argomentare né sciorinare nozioni e mesi di indagini e ricerche, forse basterebbe solo indicare che nessun militare mai può venir accusato da un Paese diverso dal suo di provenienza ma che, questa procedura nel caso in questione, doveva competere esclusivamente all’Italia e ai suoi tribunali militari.
Certo è che essere italiani a volta comporta venir esposti agli umori di altri governi. O finire disegnati al posto dei testicoli perché, tutto sommato, l’onore lo si svende in molti modi.
Lucia Codato.