L’ Esperimento Stanford fornisce definitivamente risposte:
- L’uomo nasce o diventa cattivo?
- In che momento un essere umano “perde” se stesso per plasmarsi alla volontà del gruppo cui sente di appartenere?
Questi erano i quesiti cui il professor Philip George Zimbardo (NY 23 marzo 1933) volle trovare risposta.
Il suoi studi si prefiggevano di comprende il comportamento umano in relazione ad una società i cui individui vengono definiti solo in base ad un gruppo di appartenenza.
Più nel dettaglio, Zimbardo, intendeva scardinare una vecchia convinzione socialmente riconosciuta secondo la quale i comportamenti violenti, aggressivi e degradanti della vita in carcere (inteso come rappresentativo di un contesto istituzionale) dipendevano da personalità deviate.
Il professor Zimbardo sosteneva, piuttosto, che tali comportamenti non fossero innati né acquisiti ma che si manifestassero in relazione alle specifiche situazioni, quindi che dovessero venir contestualizzati.
Per dimostrare la veridicità del suo pensiero il professore, nel 1971, realizzò quel progetto che lo rese famoso e che divenne uno dei capisaldi della psicologia sociale: l’esperimento carcerario di Stanford.
Esperimento carcerario di Stanford: cos’era e perchè lo hanno dovuto interrompere
Nel 1971, come detto, il professor Zimbardo accettò la cattedra alla Stanford University e compose uno staff per condurre il suo esperimento: previste 24 persone, di età compresa fra i 20 e i 30 anni, alle quali sarebbero stati assegnati casualmente i ruoli di guardie e carcerati.
L’esperimento si sarebbe tenuto nel seminterrato della struttura universitaria di Psicologia a Stanford; l’ex carcerato Carl Prescott apportò un prezioso contributo per riprodurre fedelmente l’ambiente carcerario e la sua atmosfera oppressiva.
Ogni detenuto avrebbe avuto nella sua cella una branda con un materasso, delle coperte e un cuscino. Le celle erano prive di finestre e di orologi per indurre a perdere la cognizione del tempo che trascorre.
Le celle, inoltre, vennero dotate di impianti di videosorveglianza e microfoni.
L’esperimento Stanford doveva durare due settimane; attraverso un annuncio vennero reclutati i candidati ai quali venne richiesto di rispondere a determinati requisiti: giovani, di sesso maschile, di estrazione culturale media, privi di deficit fisici o psichici, senza precedenti esperienze di reclusione.
Dei 100 candidati ne scelsero 24, suddividendoli ulteriormente: 18 vennero immediatamente impiegati nel progetto, e i restati 6 dovevano rimanere a disposizione.
In un sorteggio del tutto casuale vennero assegnati i ruoli di guardie, in turni di 8 ore, terminati i quali, rientravano nella vita di tutti i giorni, e dei carcerati che ovviamente avrebbero vissuto le due settimane da reclusi.
I prigionieri vennero tenuti all’oscuro della struttura che li avrebbe ospitati, le guardie invece ricevettero indicazioni precise sulla struttura stessa e parteciparono ad un meeting orientativo sul comportamento da tenere.
Ebbero inoltre una divisa, degli occhiali scuri che avrebbero dovuto indossare sempre per evitare di stabilire un contatto visivo, un fischietto e un manganello.