Cosa ha fatto Pietro Maso, la notte del 17 aprile 1991, nella villetta di appartenenza della sua famiglia a Montecchia di Crosara, è un fatto inconfutabile e per il quale ha avuto la sua pena detentiva.
Chi sia Pietro Maso, o perché Pietro Maso abbia agito in quel modo, sono invece gli aspetti che hanno impegnato rispettivamente psicologi, criminologi, giudici. E, verosimilmente, oggi anche il web.
Ma procediamo con ordine e riassumiamo i punti salienti di questa vicenda.
Pietro Maso nasce il 17 luglio del 1971 a San Bonifacio, provincia di Verona. Ha vissuto sempre in provincia di Verona, a Montecchia di Crosara, con la sua famiglia, composta dai genitori e le due sorelle, Laura e Nadia.
Una famiglia religiosa la sua, tanto che Pietro frequentò la prima media in seminario e ricoprì, da piccolo, la figura del chierichetto. Pur essendosi iscritto all’istituto agrario, non conseguirà mai il diploma ritirandosi prima del tempo.
La svolta comportamentale di Pietro Maso avviene nei primi anni ’90, quando concentra la sua attenzione sull’estetica. Il suo interesse venne completamente assorbito dai vestiti di marca, profumi costosi e tutto ciò che raccontava uno status superiore alle reali possibilità. Ciò che interessava a Pietro era una vita di agi, dispendiosa, sopra le righe.
La svolta, appunto, corrispose con il momento in cui Pietro Maso nutrì la sua personalità narcisistica, arrivando a circondarsi di amici che in qualche modo potessero rafforzare le sue convinzioni. Amici che diventeranno suoi complici nel delitto che scosse l’opinione pubblica: Paolo Cavazza, di 18 anni e Damiano Burato, 17.
Un capitolo a parte meriterebbe colui che viene definito il “migliore amico di Pietro Maso”, Giorgio Carbognin, la cui personalità fortemente influenzabile lo porta ad assorbire letteralmente il modello comportamentale dell’amico Pietro, arrivandolo ad imitarlo e a guardare a lui come ad un esempio. Carbognin viene definito dagli esperti una “personalità a intermittenza” per l’ambivalenza del suo comportamento, si rivelava infatti un ragazzo a modo e rispettoso del suo stesso ambito famigliare o lavorativo e immediatamente dopo, in presenza del Maso, diviene un suddito laborioso e pervaso dal solo desiderio di assecondare il suo modello.
Emblematica la posizione espressa dallo stesso Carbognin, soggiogato dal modello che Pietro Maso profetizzava, quando sostenne apertamente “da quando ho incontrato Pietro Maso la mia vita è cambiata totalmente, è diventata entusiasmante”.
Non ci è dato sapere quanto, una volta recluso, possa restare di tutto quell’entusiasmo, ciò che possiamo invece affermare con sicurezza è che, in effetti, anche la vita dello stesso Carbognin, come del Burato e del Cavazza, è in effetti cambiata da quella notte del 17 aprile 1991.
Pietro Maso e i suoi complici progettarono il delitto, con dovizia di particolari, rivendendolo insieme la sera stessa, riuniti al “Bar John”. Pietro sapeva che i suoi genitori erano fuori casa in quel momento, per una riunione neo-ecumenica e lo sapeva con certezza perché lui stesso volle accertarsene chiedendo in prestito l’auto al padre.
Li attesero in casa, li aggredirono. Cinquantatré minuti di feroce violenza investirono i coniugi, Antonio Maso e Maria Rosa Tessari. Picchiati con una spranga di ferro, con delle pentole, con un bloccasterzo, coscienti della loro imminente fine e del terrificante dettaglio che fosse per mano del loro stesso figlio.
Un figlio che aveva scelto la vita oziosa e superficiale, un figlio che voleva intascarsi l’eredità includendo nel suo personale sterminio anche le due sorelle.