«Qualche giorno fa hanno ammazzato mia zia Betta, sorella di mia madre. Hanno ritrovato il corpo in un frigorifero staccato. Hanno arrestato l’assassino, un uomo che aveva già tentato di ammazzarla una prima volta. Quella volta mi ero precipitato verso casa sua con le ginocchia tremanti nella speranza che il tizio fosse ancora nei paraggi, perché aveva lasciato lì le sue cose. Avevo chiaramente paura, ma questo conoscente di mia zia aveva già minacciato anche mia madre e mio padre che sarebbero arrivati dopo una mezz’ora, per cui nel chilometro scarso che stavo facendo a piedi mi concentravo su quale fosse il primo colpo che avrei dovuto tirare, vale a dire che le avrei probabilmente prese. Ma lui non c’era.
Una donna mite Betta, vittima ideale di un uomo con il quale intrecciò una relazione, dopo il divorzio dal primo marito dal quale ebbe i due suoi figli di 26 e 30 anni; una donna che cercava aiuto nell’affrontare e sopportare la depressione della quale ammetteva l’esistenza, rivolgendosi all’associazione “Tric Trac”.
Una donna che più volte aveva denunciato il suo aguzzino ma che, come troppo spesso accade, aveva anche perdonato ritirando le denunce stesse.
Eppure della violenza domestica, delle angherie cui a volte vengono sottoposte alcune donne sfortunate, se ne fa un gran parlare. Si invita alla denuncia, si pone risalto a quei comportamenti che la donna dovrebbe monitorare e non sottovalutare mai. Si accendono i riflettori su quei casi di aggressione che purtroppo imperversano ormai nelle notizie con cadenza settimanale. E troppo spesso, a conti fatti, ci si accorge che non è sufficiente.