(foto fonte web)
(foto fonte web)

Il caso di Massimo Iori, ucciso nella sua casa a Rimini nel Marzo 1997, esempio del binomio fra l’uso delle tecnologie e la necessità di avere un buon intuito.

Il fatto

È il 20 marzo 1997 quando la polizia trova in casa il corpo senza vita di Massimo Iorio, 38 anni, impiegato e incensurato. Massimo Iorio è stato strangolato e successivamente trafitto da sei coltellate. L’autopsia stabilirà che il tutto è accaduto attorno alle due del mattino. In casa gli investigatori trovano l’arma del delitto, un coltello,  e alcune tracce di sangue, precisamente tre sull’anta di una vetrinetta. La ricerca di impronte digitali sull’arma del delitto non dà risultati.

C’è un altro particolare: il cadavere di Iorio è bagnato, in terra ci sono pesci tranciati e l’ ampolla dov’ erano viene ritrovata sul frigo, vuota. Secondo il ragionamento dei poliziotti dunque, chiunque abbia compiuto il delitto, doveva conoscere la passione della vittima per quegli animali. È questo il motivo per cui le indagini iniziano a seguire la pista passionale: probabilmente un amore trasformato in odio e violenza. Massimo Iorio era omosessuale, e così l’ attenzione di chi indaga si stringe attorno all’ ex fidanzato ma questo viene scagionato e gli inquirenti sembrano trovarsi in un vicolo cieco e l’ omicidio di Massimo Iorio sembra l’ ennesimo da aggiungere alla lista di quelli perfetti.

Un mistero lungo 15 anni

La scena che si prospettava davanti agli occhi dei poliziotti dell’“Unità delitti insoluti” fino al 2011 dunque, non era delle migliori: un identikit che nessuno pareva aver preso in considerazione, l’ arma del delitto repertata e perduta, tanti sospettati, nessun colpevole, insomma un mistero. Eppure i poliziotti dell’“Unità delitti insoluti” erano sicuri che con la tecnologia a loro disposizione e con il sangue dell’ assassino in laboratorio, non sarebbe stato difficile trovare il colpevole tra gli undici indagati. Dopo gli esami, il verdetto del Dna non lascia spazio ai dubbi: quelli che nel 1997 furono sospettati, nel 2012 sono, al di là di ogni ragionevole dubbio scientifico, innocenti. Dunque, per trovare l’ assassino serviva altro.

Quel particolare decisivo

È l’intuito a dare una svolta decisiva al caso, perché alla fine è stato decisivo un particolare che all’epoca delle indagini forse non era stato preso nella giusta considerazione. Ecco allora che si ricorre all’intuito di chi, allora, alla Scientifica di Bologna, disegnò a matita un identikit trasformando in un volto la testimonianza del principale sospettato.

Le indagini ripartono proprio da qui, dall’identikit, e dal sangue, ed è così che, unendo vecchi e nuovi metodi investigativi, che ogni tassello finalmente s’incastra al posto giusto e il mosaico mostra il volto del killer.

L’assassino è un Rom, all’epoca ventenne, Zoran Ahmetovic.

Quando nel 2011 l’“Unità delitti insoluti” riapre le indagini  egli è in carcere per piccoli reati, i quali garantiscono all’uomo un fotosegnalamento, guardando il quale gli inquirenti non possono non notare la somiglianza con il volto dell’identikit tracciato nel 1997. Inoltre, il profilo genetico combacia perfettamente.

Quando, nel gennaio del 2012 il Pm va a interrogarlo in carcere l’ uomo confessa tutto, l’ incontro con la vittima, il sesso consumato dopo fiumi di alcol, l’omicidio.

di Francesca De Rinaldis