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“Sono Claudio, uno stalker, picchiavo le mie ragazze”. Ecco perché anche noi siamo potenziali stalker.

È fine agosto quanto il quotidiano Corriere della Sera pubblica l’outing di uno stalker. E subito fa notizia.
Per inciso, in Italia le condotte tipiche dello stalking configurano il reato di “atti persecutori” (art. 612-bis c.p.), introdotto con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (decreto Maroni). Sicuramente, come lui stesso ha ammesso, è stato fortunato perché fermato in tempo. Questo gli ha permesso di patteggiare a 18 mesi la condanna prevista per gli atti persecutori,  seguendo un programma di recupero.

Quando fermarsi?

E proprio qui sta il punto: qualcuno è intervenuto in tempo impedendo che accadesse il peggio.
Quando in generale una situazione insalubre viene esasperata, ci coglie una rabbia tale da estraniarci dal contesto presente. In quel preciso istante esistiamo solo noi e ci sentiamo vittime perché siamo noi che stiamo subendo un’ingiustizia. Banali situazioni come una coda in posta, uno screzio sul posto di lavoro, un malinteso tra compagni di scuola spesso degenerano in vere e proprie stragi. E a cose avvenute, le considerazioni di chi vive a contatto con questi  protagonisti sono spesso di stupore del tipo “era una persona così a modo, tutto ci si sarebbe aspettati tranne che questo, sempre cordiale e affabile con tutti”.

A riprova di ciò si evince da alcuni studi che i contesti in cui questi scatti di ira esplodono nel 55% circa nella relazione di coppia circa il 55%, in condominio circa il 25%, in famiglia (figli/fratelli/genitori) circa il 5% e sul posto di lavoro/scuola/università circa il 5% e sul posto di lavoro/scuola/università nel 15% circa.

Le tipologie

Sono cinque le tipologie di molestatori che ha individuato il Reparto Analisi Criminologiche dei Carabinieri, in particolare la Sezione Atti persecutori  per suo “uso e consumo” ma che testimoniano una volta di più che le sfumature sono infinite e non si può generalizzare. E quindi c’è il “risentito”, caratterizzato da rancori per traumi affettivi ricevuti da altri a suo avviso ingiustamente (tipicamente un ex-partner di una relazione sentimentale); il “bisognoso d’affetto”, desideroso di convertire a relazione sentimentale un ordinario rapporto della quotidianità; insiste e fa pressione nella convinzione che prima o poi l’oggetto delle sue attenzioni si convincerà; il “corteggiatore incompetente”, che opera stalking in genere di breve durata, risulta opprimente e invadente principalmente per “ignoranza” delle modalità relazionali, dunque arreca un fastidio praticamente preterintenzionale; il “respinto”, rifiutato dalla vittima, caratterizzato dal voler contemporaneamente vendicarsi dell’affronto costituito dal rifiuto e insieme riprovare ad allestire una relazione con la vittima stessa; il “predatore”, il cui obiettivo è di natura essenzialmente sessuale, trae eccitazione dal riferire le sue mire a vittime che può rendere oggetto di caccia e possedere dopo avergli incusso paura; è una tipologia che spesso riguarda voyeur e pedofili.

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Avvisaglie di pericolo

Claudio nella sua confessione fornisce anche altre indicazioni preziose da cogliere come avvisaglie per intervenire in tempo; preziosissimi risultano essere il dialogo, la gentilezza nelle parole usate, la chiarezza nella comunicazione e nei comportamenti, evitando ambiguità ma anzi dilungandosi nelle spiegazioni.

Fondamentale è anche la sensibilità nel capire che chiudere un rapporto, se è una decisione non condivisa, è una batosta non indifferente. Chi subisce la scelta si sente mancare la terra sotto i piedi, si sente abbandonato, umiliato, tradito e nell’escalation finale ferito nel suo orgoglio al punto da ritenersi autorizzato ad agire in qualunque modo per riappropriarsi a tutti i costi della sua linfa vitale. Purtroppo a questo punto il controllo della situazione è stato ormai perso:  il comportamento diventa precipitoso, assillante, curioso della vita altrui tanto da violarne la privacy in senso stretto e lato.

Lo stalker in questione cita anche la provocazione e la sfida tra gli effetti scatenanti. E come dargli torto? Se solo si trovasse un pò di tempo per fermarsi ad osservare, e magari anche ad ascoltare la gente, si capirebbe che certi atteggiamenti, certi abbigliamenti, certi vocabolari irritano, sono irriverenti e irrispettosi: purtroppo svelano uno spaccato reale dell’evoluzione della specie umana, non tanto a livello fisico quanto a livello mentale.

Evoluzione della specie

Il genere femminile esasperato da una condizione di sudditanza e servilismo sta avendo la propria rivincita pretendendo la parità dei sessi, ma con modi che vanno ogni tanto un pò fuori dal tracciato; di contro il genere maschile è passato da una situazione di autorità totale ad uno svuotamento dei suoi tratti distintivi. E il risultato è deleterio, come tutte le volte che si vuole andare contro natura forzando la mano.

Le donne si presentano determinate e sicure, ma anche arroganti, impassibili e sguaiate, perdendo la finezza, la sensibilità, il buon senso, l’eleganza di stile che le hanno sempre contraddistinte, e che sicuramente non guastano e nulla sottraggono alle loro – più volte dimostrate – eccellenti doti intellettive.

Gli uomini invece assistono a questo sovvertimento di ordine quasi rassegnati, anzi spesso pilotati dalle stesse rivali , cadendo a piè pari nella trappola (perché le donne sanno comunque quali trucchi, veri e traslati, utilizzare per annebbiare i rivali e dimostrare la loro grinta. C’è poi chi non accetta questo schiaffo morale e si ribella intessendo una gara, e la competizione, si sa, spesso fa perdere l’autocontrollo.

È importante sapersi fermare e riconoscere la pulsione interna per poi affrontarla, consapevoli che la violazione dei diritti altrui è espressione della propria fragilità e insicurezza. E chiedere aiuto. Fondamentale. È stato istituito un centro apposito per la promozione della mediazione (Cipm, www.cipm.it 800667733). Perché anche nell’era tecnologica ci sono situazioni in cui solo il dialogo si rivela l’unica soluzione possibile.

Fare outing si rivela tutt’altro che un espediente mediatico: condividere i propri errori si rivela terapeutico perché si realizza che non si è i soli a vivere certi disagi, a provare sentimenti negativi, a coltivare reazioni rischiose. E si può intervenire in tempo.
Grazie Claudio per la tua storia a lieto fine.

di Chiara Collazuol