Sono trascorsi dodici giorni dal ritrovamento del corpo carbonizzato di Urlico Cappia, l’enologo cinquantasettenne di origine romana, trovato nella sua auto data alle fiamme in località Porcignano, lungo il chilometro cinque e trecento della strada provinciale Itri- Sperlonga. Erano le 22,30 di mercoledì 4 settembre. Da quella notte è caccia aperta agli assassini.
Le fiamme nella notte
Presto correte! Un’auto sta andando in fiamme non molto lontano da noi. Riusciamo a vedere le fiamme! Ci troviamo sul terreno di Antonio Schettino, l’azienda Monti Cecubi, fate in fretta!
Gli attimi sono concitati, volano lungo la strada i Vigili del fuoco di Gaeta seguendo le indicazioni ricevute. Alcuni di loro, giunti nei pressi della zona di cui parlavano quegli uomini al telefono, provano con gli occhi ad avvistare la luce del fuoco in lontananza; come fa il marinaio con la terra ferma. Nella notte le fiamme non possono nascondersi ed ecco a un tratto l’avvistamento.
A sirene spiegate l’autocarro rosso si dirige verso l’incendio da combattere. Sono terreni molto sfruttati dalle aziende, bisogna agire in fretta e limitare i danni. L’adrenalina cominciava a scendere con l’attenuarsi del vigore del fuoco, ormai domato quasi del tutto, quando lo sguardo soddisfatto dei vigili si pietrificò in un istante. Un’espressione indecifrabile.
La coltre di fumo bianco cominciava a diradarsi a poco a poco, lo scheletro dell’autovettura divorata prendeva forma e con esso il motivo di quei visi annichiliti. Sul sedile conducente di quella Fiat 500 L carbonizzata, era nitidamente distinguibile la sagoma di un corpo umano fuso nell’abitacolo. Un incendio nella notte cominciava a tramutarsi in un mistero molto più fitto. Sul posto i carabinieri coordinati direttamente dal colonnello Giovani De Chiara. Le prime indagini condotte non lasciano dubbi circa l’identità del cadavere rinvenuto: si tratterebbe di Ulrico Cappia, 57 anni, enologo originario di Roma ma impiegato a Porcignano, all’interno dell’azienda vinicola di Antonio Schettino.
Le indagini
Sposato, padre di due figli, era abbastanza conosciuto dalle parti di Itri, soprattutto tra i viticoltori; consulente per i vigneti di Raino e un passato nell’istituto professionale per l’agricoltura di San Benedetto. Niente lasciava pensare a un caso atipico di suicidio. Tutto conduceva inesorabilmente a un regolamento di conti, un’esecuzione in piena regola.
A confermare le supposizioni, il ritrovamento di quattro bossoli di pistola 7,65 e da lì a poco, i risultati dell’autopsia eseguita dal medico legale Gianluca Marella. I resti dell’uomo erano in una condizione tale da non poter consentire un’analisi particolareggiata, tanto da poter ricostruire i momenti antecedenti, contestuali e susseguenti al decesso.
Solo un elemento è stato confermato con sicurezza: un colpo di arma da fuoco ha penetrato la nuca dell’enologo. Anche le radiografie condotte dal dott. Marella hanno escluso la presenza di altri proiettili all’interno dei resti di Cappia.
Di certo le indagini di laboratorio, le analisi specifiche sul DNA, e lo studio dei frammenti ossei per risalire a possibili ricostruzioni sulla natura delle lesioni, potranno nei prossimi giorni aiutare a capire come sono davvero andati i fatti la notte del 4 Settembre. Le piste da seguire in questa terribile storia purtroppo sono numerose. La vita lavorativa, anche trascorsa, dell’enologo romano sembra essere il punto nevralgico sul quale gli investigatori stanno concentrando l’attenzione.
I rapporti tecnici redatti, le consulenze rese, gli appunti privati, tutto passa sotto la lente d’ingrandimento. Voci che corrono senza nome nella zona, arrivate all’orecchio degli inquirenti, parlano di precedenti “avvertimenti” ai danni del professionista cinquantasettenne, più volte vittima di screzi e atti di vandalismo.
In un’ipotetica ricostruzione non può lasciare indifferenti il fatto che l’omicidio sia stato compiuto a trecento metri dall’entrata principale dell’azienda, portato a termine con estrema freddezza, meticolosità, senza sbavature. Riflessioni di non poca importanza. Un killer professionista coadiuvato forse da un basista? Una persona del luogo con una scrupolosa conoscenza dei terreni e della zona? Le testimonianze hanno confermato che Ulrico Cappia sarebbe stato attirato proprio quella sera fuori dell’azienda (nel luogo in cui avrebbe incontrato la morte) per un non meglio definito “colloquio chiarificatore” con persone che la vittima evidentemente conosceva.
Forse Ulrico Cappia era venuto a conoscenza di cosiddette “situazioni scottanti” nel commercio o nella produzione del vino? A oggi gli unici sospettati nella vicenda, come ad esempio un ex-dipendente dell’azienda, risultano essere buchi nell’acqua; gli alibi sono stati verificati e sembrano essere attendibili, come si dice in gergo “di ferro”.
Le indagini continuano senza sosta per scovare i responsabili di quest’atroce esecuzione nella notte di Itri.
di Alberto Bonomo