L’emozione che corregge la regola.
Scriveva J. Kerouac nel suo meno famoso romanzo Tristessa (1955-1956): «Avevo la sciocca ascetica o casta idea di non dover toccare le donne, forse toccandola l’avrei salvata», riferendosi alla prostituta messicana che egli amò senza possederla. Un maestro di delicatezza, anzi, di più: paladino di una dolorosa condizione umana.
Ideali nobili allora, oggi denigrati
Ai nostri giorni l’amore è confuso col possesso, riducendosi spesso solo ad un incontro superficiale di corpi o di sensazioni. Del resto, proprio a questo ha educato l’attuale era tecnologica, al tutto e subito. Perfettamente in linea con i dettami del consumismo, che utilizzando trucchi subdoli annienta lo spirito critico della mente umana per indirizzarla dove meglio crede, ovvero sulle strade del materialismo. Lo stesso che invita all’usa-e-getta senza fare distinzioni tra oggetti e persone.
La cultura dell’attesa rimane un arcano irrisolvibile perché ìmpera la fretta. E invece ci sono aspetti della vita che necessitano di tempi lunghi per maturare, per crescere. Come l’amore di un genitore che sa vegliare con pazienza sulla strada di un figlio. L’amore sboccia e fiorisce secondo tempi che sono sempre personali e non codificati e obbligati, ed è per questo che non lo si può forzare o accelerare. Non mette fretta a nessuno e non impone nulla.
La società
Invece la società è intrisa di arroganza: tutti si sentono investiti di diritti, primo tra tutti la mancanza di rispetto, seguita dalla voce grossa e dalle minacce, per proseguire con il nepotismo, e via dicendo. Chiamando in aiuto la teoria del filosofo tedesco G.Leibniz, essa (la società) si potrebbe analizzare come composta di tante monadi, ciascuna delle quali percipiente l’intero universo, ma in modo confuso, con infiniti e diversi gradi di consapevolezza. Eppure tutte insieme appartenenti di fatto a un’unica sostanza-Monade, evidenziandone la diversità – dal punto di vista delle monadi stesse, la diversificazione – dal punto di vista dell’unico Ente in cima a questa piramide di enti. A differenziare una monade da un’altra, ovvero un individuo da un altro è la qualità della percezione, il grado di sensibilità.
È necessario proiettarsi al di fuori di se stessi per ritrovare la percezione del sé, per conoscersi davvero. Ci sono momenti in cui è utile la riflessione, la quiete, la concentrazione per interiorizzare, altri in cui si deve uscire, relazionarsi col mondo dimenticandosi un po’ per accogliere l’altro nella sua interezza, fatta anche di fragilità, miseria, pochezza. Proprio perché più misero e indifeso, l’uomo si può incontrare più facilmente. E il regno degli incontri è un terreno minato perché ci si deve esporre. Eppure chi si mette in dialogo accetta la diversità dell’altro, la sua estraneità; è come se gli dicesse: io non sono tutto, non conosco tutto, ho bisogno di te perché io sono solo un punto di vista, limitato, particolare, settoriale. Grazie a te e al tuo sguardo io allargherò il mio orizzonte.
Pregiudizi
È faticoso abbassarsi, in senso stretto, ma anche in senso lato, perché vuol dire sintonizzarsi sulle frequenze dell’altro, sforzarsi di ascoltarlo andando oltre i pregiudizi, che si sa, sono duri a morire. Come è attuale il pensiero di Albert Einstein che sosteneva essere «più facile disintegrare un atomo che un pregiudizio».
Forse sarebbe utile recuperare il contatto con la vita nella sua interezza, quindi approfondirne i drammi invece che aggirarli. C’è la tendenza a spazzare sotto il tappeto lo sporco per nascondere alla vista delle persone che contano le bruttezze che ci sono ma che si vogliono ignorare, salvo poi sfruttarle a proprio tornaconto. Ed ecco ritornare a monte del discorso, alla cultura dell’usa-e-getta, della superficialità. Invece sarebbe interessante una raccolta differenziata di questo “sporco” per conoscerlo un po’ meglio.
La letteratura
Si sa che la spazzatura riflette lo stile di chi la produce, e questo vale anche per la società.
I problemi sociali che emergono in modo più o meno palese ne lasciano trapelare la debolezza. Nessuno vince da solo, bisogna fare squadra. E gli atleti lo sanno meglio di chiunque che talvolta basta un sussulto di orgoglio per rialzarsi e partire. La filosofia di vita in vigore oggi proclama il politicamente corretto, preferendo la guerra delle parole alla riforma delle cose, aggrappandosi ai simboli invece che alla realtà, puntando alla perfezione ideologica invece che la soluzione concreta.
La letteratura svolge in questo contesto un ruolo fondamentale perché oggi come da sempre va a sondare terreni incolti, eviscerando situazioni buie e taciute, forse proprio perché nasce spontaneamente da chi ha visto da vicino certi aspetti, rimanendone spesso direttamente coinvolto.
Oltre i limiti
La realtà va oltre la fantasia tanto da fornire spunti di narrazione, di riflessione. E la democrazia, in linea con questo pensiero, nasce dal popolo proprio per dare modo a chi non ha voce di portare avanti i propri diritti, i propri suggerimenti, e trovare motivi validi per ottemperare ai propri doveri.
Il momento che stiamo vivendo ci ha resi rabbiosi: scattiamo per tutto ciò che – grande ma soprattutto piccolo – si discosti dal nostro filo di pensieri, senza fermarci un attimo a chiederci perché. Ci portiamo dentro un rancore che sfoghiamo ovviamente con chi ha meno colpa di tutti. Predicava Ghandi: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo», ovvero agire per un bene comune, che va oltre la somma dei beni individuali.
Se io scambio un dollaro con te avremo sempre un dollaro a testa, se ci scambiamo le idee ci saremo arricchiti entrambi di valori autentici. È necessario tornare alla base del sentire comune dell’uomo, alla semplicità, alla generosità, all’umiltà, alla curiosità per avvicinare chi non si riconosce più nel potere fine a se stesso. Tutto ciò stempera l’ego.
Ognuno di noi esiste perché esiste l’altro, così come in ognuno di noi c’è qualcosa di prezioso che non c’è in nessun altro.
di Chiara Collazuol