L’indisciplina dei giovani nei confronti degli adulti ha portato il governo ad adottare una misura drastica: l’estrazione per sorteggio, nell’intero Paese, di una classe di liceo da deportare in un’isola deserta facendo in modo che gli alunni si sterminino tra di loro, fino all’unico superstite.
Regista di lungo corso pressoché sconosciuto in Occidente, nel 2000 Kinji Fukasaku aveva 70 anni, il che proibisce subito di bollare “Battle Royale” come un mero prodotto d’intrattenimento per teen-agers con messaggio vagamente incorporato. Il film (tratto dall’omonimo romanzo di Koushun Takami), ambientato in un Giappone indefinitamente futuro, fa sarcasmo pesante non solo sulla volgare spettacolarizzazione della violenza propria di molto cinema anche giapponese (nonché della tv) di fine anni ’90, ma sul destino di un mondo e di una classe governante che ha rinunciato a un qualsiasi rapporto con i propri eredi e preferisce mandarli al macello con brutalità medievale.
Strutturato nelle cadenze e negli stili di un reality-show ipermacabro, che anticipa profeticamente le brutture televisive degli anni a seguire, ogni tanto “Battle Royale” si fa un po’ robotico e compiaciutamente efferato, facendosi influenzare – più che da “Dieci Piccoli Indiani” – dalle arie da videogame su cui dovrebbe ironizzare. A riportarlo alla sua dimensione onirica, sospesa e squisitamente nipponica, però, arriva un bel finale aperto in cui Fukasaku chiarisce definitivamente da che parte sta.
Divertito e a tratti irresistibile, Takeshi Kitano presta la sua faccia di gomma allo squallido personaggio che porta il suo cognome. In Italia solo in versione sottotitolata.
Kinji Fukasaku, 2000
Recensione di Giuseppe Pastore
http://cinema-scope.org/2007/08/27/battle-royale-kinji-fukasaku-2000/