(foto fonte web)
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Storia vera dei Friedman: una famiglia modello, padre, madre e tre figli, una bella casa a Long Island, un’accusa infamante di pedofilia e violenza sessuale per il padre Arnold e il terzogenito Jesse.

Il documentario americano ha riacquistato vigore negli ultimi cinque anni, grazie ovviamente ai brillanti risultati ottenuti dai nuovi pionieri come Michael Moore che hanno portato nuovi autori a cimentarsi in questo genere caduto in disuso, con ottimi esiti. Nella grande quantità di opere prodotte, quasi tutte di buonissima qualità, si distingue questo “Capturing the Friedmans” (titolo originale dall’evidente ambivalenza, geniale nella sua semplicità).

Nel 90% dei casi, dal “Fahrenheit” di Moore al celebre “Supersize Me” fino alle molte inchieste anti-global, il documentario esprime una sua natura ben precisa: prende una posizione, la difende, ascolta l’altra campana e la rigetta, come il più classico dei film “a tesi” (celebre la spietata e circostanziata polemica contro le armi in “Bowling a Columbine”, sempre Moore).

Qui, invece, con ampio sgomento dello spettatore, l’obiettività e l’imparzialità sono assolute, e non stiamo parlando dei McDonald’s o della guerra in Iraq, argomenti delicati ma in fin dei conti pur sempre difendibili: qui Andrew Jarecki si prende l’enorme rischio di provare a difendere un pedofilo.

Tutto quel che fa è alternare, in modo da risultare totalmente sopra le parti, testimonianze a favore della colpevolezza (la polizia, il padre del ragazzo violentato) e a favore dell’innocenza (il primogenito, il fratello, un paio di ragazzi), lasciando allo spettatore il compito di costruirsi la propria verità.

Il risultato è fortemente perturbante, non soltanto per le profonde e inequivocabili crepe che non può fare a meno di svelare nella famiglia modello (la madre contro i figli), ma perchè entra a piedi uniti sul perbenismo e sulle convenzioni della società moderna, quelle convenzioni che sono anche e soprattutto le nostre (chi di noi, di fronte alle testimonianze raccolte, avrebbe avuto il coraggio di prendere le parti di un pedofilo?).

Al di là del suo alto valore “filosofico”, che ne fa una pellicola quasi da manuale che non sfigurerebbe accanto ai migliori Lumet e Cayatte, è un film-inchiesta di rigorosa asciuttezza realizzato solo con interviste, senza voci fuori campo che talvolta, in questi casi, possono risultare fuori luogo.

Andrew Jarecki, 2003

Recensione di Giuseppe Pastore

http://cinema-scope.org/2007/05/25/una-storia-americana-andrew-jarecki-2003/