(foto fonte web)
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Nel libro “Il sangue e l’amore” l’omicidio di Rolando Rivi, piccolo prete ucciso dai partigiani comunisti la mattina del 13 aprile 1945, per aver seguito la vocazione che lo volle servitore del Signore.

È da poco finita la guerra, le macerie lasciano spazio solo a una flebile voce che grida alla resurrezione; la pioggia lava via il sangue versato, la speranza di una rinascita è dietro ogni porta. Ricominciare è l’imperativo che smuove le coscienze, ma c’è un’ombra che aleggia sull’ottimismo fiducioso del popolo, come una vergogna da dover nascondere con un’antica forma di pudore: la macchia indelebile della guerra civile.

Strage di sacerdoti

I fratelli si combattono tra loro, inneggiano alla violenza innalzando fervidi ideali come stendardi. Saranno 130 i sacerdoti sterminati dai partigiani tra il 1944 e il 1947, vittime sacrificali, corpi carbonizzati a testimonianza dell’odio sfrenato nei confronti della fede cattolica. La storia del giovane Rolando Rivi rappresenta emblematicamente il martirio di un innocente in nome di una follia razionale, cieca, premeditata.

Nella primavera del 1942 Rivi, ancora dodicenne, decide di seguire la voce che ormai da qualche tempo risuona prepotentemente nelle sue orecchie. È la voce del Signore che lo chiama porgendogli la mano, fiducioso il suo tacito ma sorridente consenso. A ottobre dello stesso anno si aprono le porte del seminario minorile di Marola, dalle parti di Reggio Emilia.

Era il 1944, non esistevano posti che le lunghe braccia della guerra non fossero riuscite a raggiungere; nell’ottobre di quell’anno, il monastero, ormai casa di Rolando, fu occupato dalle truppe tedesche; studenti e sacerdoti furono rispediti a casa, quelle mura erano ormai territorio tedesco, chissà per quanto sarebbe durata quell’occupazione prepotente. La fede non ha paura delle armi, i cannoni non sono deterrenti utili a cancellare Dio dall’anima di un cristiano, così fu per il giovane prete.

Le difficoltà

Una volta tornato a casa il piccolo seminarista non si diede per vinto e continuò i suoi studi teologici, continuò a indossare la veste talare ripetendo sempre  «io studio da prete e la veste è il segno che sono di Gesù». Il periodo non era dei migliori per “ostentare” la propria cristianità, alcuni gruppi di partigiani comunisti attraverso una propaganda spietata, avevano diffuso un odio ideologicamente sfrenato contro tutto ciò che avvicinasse alla famiglia cristiana, la sua potenza era fonte di preoccupazione.

È il 10 aprile 1945, la messa è terminata e com’era solito fare molto spesso, Rolando prende i libri, poche provviste e si reca in quel boschetto vicino casa, quell’angolo di terra che concilia la sua concentrazione; come se immergendosi a capo fitto nella natura, tra gli alberi, gli uccelli e il profumo di more riuscisse a raggiungere davvero Dio, studiando tranquillo al suo fianco. Passano le ore, è mezzogiorno, il sole alto nel cielo riesce a perforare perpendicolare le fitte fronde degli alberi, ormai da parecchie ore in casa nessuno ha notizie di quel figlio così determinato a immergersi nei misteri della fede.

Tempo dopo

Non passerà molto prima che i genitori, recandosi nel bosco insospettiti dalle tante ore di assenza, scoprano l’inquietante verità. Un biglietto, poche righe. Un semplice messaggio, quasi un’annotazione cordiale, amichevole, quasi scherzosa, che in realtà nasconde una meschina quanto codarda condanna a morte: «Non cercatelo. Viene un momento con noi, partigiani».

Il giovane soldato di Dio fu costretto a marciare per 19 chilometri, fin quando la pelle sotto i piedi non diventò pulviscolo della stessa consistenza dei campi sterrati, non più ossa e pelle ma sangue e pietre. Raggiunto poi un rifugio, fu costretto per tre giorni e tre notti a soffrire delle più selvagge sevizie; amare e servire il Signore rappresentava un’onta ingombrante, difficile da cancellare.

Al termine delle 72 ore di agonia, allo scoccare dell’ultimo minuto, due colpi di pistola misero fine alle sofferenze di quel gracile corpo, in ginocchio, sul bordo di una fossa di terra che d’ora in avanti lo avrebbe protetto e coccolato. Una buca modellata con le stesse mani che fino a pochi attimi prima della deflagrazione, pregavano congiunte per l’anima dei due genitori amati. Fu ritrovato la notte del 14 aprile 1945 sotto un sottile strato di terra.

Il processo

La sentenza del tribunale emessa dalla Corte d’Appello di Firenze nel 1952 contro gli imputati dell’omicidio (condannati a 23 anni ma beneficiari di una parziale amnistia), afferma che il seminarista fu ucciso perché rappresentava “un ostacolo all’espansione locale del comunismo”.
Il 7 gennaio 2006 alle ore 16.00 è iniziato ufficialmente a Modena, nella Chiesa di S. Agostino, il processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio, Rolando Rivi, seminarista morto martire a 14 anni, ucciso per mano di partigiani comunisti, nel bosco di Piane di Monchio, nell’Appennino Modenese. Anche il nostro Vescovo, S. E. Mons. Luigi Negri, ha partecipato con un messaggio inviato a S. E. Mons. Cocchi Vescovo di Modena, di cui se ne ripropone una parte:

Rolando Rivi è per me uno dei segni più singolari che la Provvidenza ha usato per ricordare a tutta la Chiesa che il nostro cuore deve stare di fronte a Cristo come quello di un bambino, con una totalità che gli ha consentito di subire il martirio, credo con tanta paura, ma con una certezza ed una letizia che hanno giudicato e giudicano ancora oggi i suoi assassini.

Da lui, piccolo ma gigantesco frutto della fede e della carità del vostro popolo, dobbiamo imparare, all’inizio di questo terzo millennio, nello svolgersi talora tormentato della nostra missione, la sua radicale semplicità ed il suo coraggio di fronte al mondo.

di  Alberto Bonomo