A pochi mesi dal venticinquesimo anniversario della morte di Alina Cossu, la studentessa di biologia, ritrovata cadavere lungo la scogliera di Abbacurrente nei pressi di Porto Torres, qualcosa sembra smuoversi.
La storia di Alina
Una storia mai chiusa, una figlia e una sorella mai abbandonata alla triste fatalità del destino, il desiderio di verità e di giustizia non sono mai appassiti all’ombra di un omicidio inspiegabile e orribile. In una precedente inchiesta, nell’ottobre del 2012 Altriconfini.it aveva per un attimo riportato a galla la storia di questa ragazza, appena ventunenne, derubata della propria vita, privata nel pieno della giovinezza di quei sogni che rendono gli sforzi e i sacrifici sopportabili.
La storia ci racconta che era la notte del 10 settembre 1988, «Alina era scomparsa la sera prima, dopo aver prestato servizio in quel bar in cui lavora principalmente per pagarsi gli studi; una ragazza solare, estroversa, con un grande senso del dovere, poco in comune con quei 21 anni. A giudizio del medico legale che ha eseguito le prime analisi, il corpo è stato brutalmente percosso; Alina è stata picchiata a morte».
L’udienza
È fissata per l’11 luglio 2013 l’udienza innanzi al Gup del Tribunale di Sassari, nella quale il pubblico ministero Gianni Caria avrà l’onere di “raccontare” le motivazioni che stanno alla base della richiesta di riapertura ufficiale delle indagini sull’omicidio di Alina Cossu. Contestualmente alle nuove investigazioni, il PM Caria auspica la revoca della sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Gianluca Moalli.
L’operaio di Porto Torres nonché presunto amante di Alina, unico arrestato tra tutti gli indagati, detenuto solo per alcuni mesi nel febbraio del 1992, è stato rilasciato poco dopo per insufficienza di prove e poi assolto per non aver commesso il fatto. Alcuni pescatori, interrogati dopo il ritrovamento del cadavere, giurarono di aver visto nei pressi della spiaggia una Fiat Ritmo fare numerose manovre; l’auto corrisponde per modello e per colore a quella posseduta nel 1988 da Gianluca.
«Durante gli interrogatori Gianluca reca graffi e segni di colluttazione sulle braccia e la suola delle sue scarpe è compatibile con quella trovata sul viso di Alina». Alcuni errori procedurali investigativi (come il non aver recintato la zona del ritrovamento) saranno l’espediente che consentirà al ragazzo di uscirne “pulito”.
La verità sotto le unghie?
Le nuove prove che dovrebbero aiutare gli inquirenti a chiudere una storia lunga venticinque anni potrebbero in fondo non essere così nuove; Alina era una brava ragazza ma sapeva difendersi e usava spesso le unghie; non di rado nelle insignificanti beghe giovanili con le coetanee graffiava le sue rivali.
Per tali motivi una delle ipotesi più accreditate è quella secondo cui il DNA del suo assassino (e quindi la chiave di volta di questo giallo) possa essere nascosto da così tanti anni sotto quelle dita ormai consumate, ma protette dal tempo all’interno di una bara sotto metri di terra. In un certo senso possiamo dire che la Scienza ci ha insegnato anche a sperare per cui l’auspicio è che quella notte maledetta la giovane vittima abbia tentato di difendersi con le unghie, portando via con sé un seppur minimo frammento tissutale dell’assassino, colonna portante di una possibile nuova incriminazione.
Lo strato più superficiale della pelle, chiamato strato corneo è formato da cellule corneificate (provviste cioè di uno speciale involucro chiamato “corneo”) prive di nucleo e cheratinizzate (cioè attraversate da filamenti intermedi di cheratina). In alcune zone lo strato corneo è formato da pochi strati, quindi è molto sottile, ma sotto la pianta del piede e sul palmo delle mani può arrivare a cento strati; non essendoci il nucleo è impossibile ricavare da esse il DNA. Per arrivare alle cellule con il nucleo bisognerebbe graffiare una persona molto in profondità, per arrivare a uno strato chiamato granuloso. Se il graffio è profondo, ad esempio sul viso, potrebbe essere verosimile che si arrivi a cellule con il nucleo.
L’esumazione del corpo
L’esumazione è un’operazione per nulla semplice e scontata, ma la professionalità del Ris dei carabinieri e la contestuale tecnologia avveniristica, capace di dare risposte anche a distanza di anni dal proporsi della domanda, sono certezze che permettono quantomeno di non sperare invano.
Sabrina Cossu, sorella di Alina, parla in nome di tutta la famiglia quando racconta le vicende di tanti anni caratterizzati solo dal dolore, lontani dalla rassegnazione: «Mia madre sta sempre peggio, è molto giù…non ti rassegni al fatto che ti abbiano portato via una figlia in quel modo. Ormai vive solo in funzione di quello, vuole sapere chi è stato e perché. C’è gente che sa ed è a conoscenza d’informazioni che possono aiutare gli investigatori; capisco che venticinque anni fa possa aver avuto tanta paura ma ora le condizioni sono cambiate, la paura è finita, si liberino la coscienza e diano un contributo prezioso alla giustizia».
Dovremo aspettare solo pochi giorni per sapere se sarà concessa agli inquirenti la possibilità di riaprire il caso, affidandoci alla scienza e a un pizzico di fortuna per dare un volto a quell’assassino che per venticinque anni è stato libero e impunito in mezzo a noi.
di Alberto Bonomo