(foto fonte web)
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Vent’anni dopo, la storia dell’imprenditore romagnolo che, dal successo, in tre anni sprofondò nella miseria fino a suicidarsi nella sua casa di Milano.

Ad un certo punto della sua vita, Raul Gardini aveva tutto: soldi, donne, notorietà, e un’immagine di imprenditore slegato dalla vita politica come ormai sembrano non essercene più. Non vedeva di buon occhio i politici Gardini, proprio come conferma il suo amico di una vita (forse l’unico) Vanni Balestrazzi, in un’intervista per Il Fatto Quotidiano di qualche giorno fa. Ma andiamo con ordine.

La Montedison

Gli italiani iniziano a sentire il nome Raul Gardini dai telegiornali intorno agli anni ottanta, quando l’imprenditore romagnolo tenta con successo la scalata alla Montedison. Un successo imprenditoriale, che gli consente di osservare colleghi come De Benedetti dall’alto in basso. Negli stessi anni acquista Fondiaria, diventandone presidente poco dopo oltre che imprenditore leader del Nord Italia.

Chimica sbagliata

 Nel 1988 Gardini da vita alla Enimont, fondendo insieme i gruppi Eni e Montedison (entrambi con il 40% del pacchetto, mentre il restante 20% viene destinato al mercato azionario). Il suo rapporto con il vecchio gruppo dell’Eni però si logora in breve tempo, anche a causa dell’operato del presidente dell’Eni, Giuseppe Cagliari. L’unica soluzione per Gardini è l’uscita dalla società, con la vendita del proprio 40%.

La tangente

Parte dei soldi incassati da Cagliari viene dirottato su una maxi-tangente, suddivisa tra diversi politici affinché defiscalizzassero alcune plusvalenze che la Montedison aveva fatto registrare in seguito all’acquisizione delle quote di Gardini. Nonostante la “tangente di Enimont” si sia verificata dopo l’uscita di Gardini dalla società, in seguito alla morte l’imprenditore romagnolo venne additato dai colpevoli come principale responsabile dell’accaduto. Le indagini, alcune delle quali condotte da un giovane Antonio Di Pietro, hanno chiarito come Gardini fosse totalmente estraneo alle vicende societarie in seguito alla cessazione della propria quota.

«Se avessi agito, sarebbe ancora qui con noi»

Il 20 luglio del 1993 Giuseppe Cagliari, in carcere per un processo non legato alla Montedison, si suicida con un sacchetto di plastica. Gardini resta scosso dalla vicenda e quando Di Pietro lo convoca in procura, con l’obiettivo di trovare ogni responsabile della tangente, sente il fiato sul collo. Non resiste alla stress e il giorno prima dell’incontro, il 23 luglio, muore suicida nella sua casa di Milano con un colpo di pistola.

Ancora oggi Di Pietro (intervistato dal Corriere della Sera) non si perdona di non averlo fatto arrestare: « […]  Avevo dato la mia parola agli avvocati che lui sarebbe arrivato in Procura con le sue gambe, il mattino dopo. E dissi [ai carabinieri che dovevano arrestarlo sotto casa sua, nda] di lasciar perdere. Se l’avessi fatto arrestare subito, sarebbe ancora qui con noi».

di Nicola Guarneri