Il noioso ménage di una giovane coppia borghese che vive in un castello della Normandia viene spezzato dall’irruzione di due balordi in cerca di aiuto e di asilo; l’arrivo della marea complica ulteriormente le cose.
Roman Polanski, 1966
Terzo film dell’allora 33enne Roman Polanski, quando ancora non aveva messo piede in Francia; Orso d’Oro al Festival di Berlino e secondo capitolo della collaborazione con lo sceneggiatore francese Gérard Brach, un anno dopo Repulsione (1965).
In un’ora e tre quarti c’è tutto il Polanski presente e futuro: l’analisi scientifica del dissesto antropologico che nasce dall’interazione forzata tra due classi sociali differenti; lo stillicidio come cifra stilistica del suo cinema; i picchi incongrui e sconcertanti di humour nero, che fanno impennare la tensione invece di allentarla; la sua passione per i cast ridotti all’osso, soddisfatta anche in futuro da film come La morte e la fanciulla e Carnage e sublimata nel recentissimo La Vénus à la fourrure appena presentato a Cannes, in cui riesce nell’impresa di far recitare due soli attori.
Benché ancora un po’ rozza e scolastica, con le sue simbologie elementari (l’alta marea), la gestione della suspense rivela un talento non comune che si affinerà nel tempo e che stavolta si affida all’indimenticabile performance di Donald Pleasence, banale omarino da niente che viene lentamente trascinato alla deriva: anche qui come in futuro, nel momento di maggior stress emotivo, emergono di colpo i fantasmi dell’inconscio e del rimosso.
A lungo sembra non accadere niente, ma le semplici dinamiche tra i personaggi innescano una cappa di fastidio e malsanità via via sempre più vischiosa che diverrà col tempo un proverbiale marchio di fabbrica. In una parte quasi interamente muta compare Jackie Bisset, che di lì a poco diventerà famosa con il nome di Jacqueline. La bellissima protagonista Françoise Dorléac, promessa del cinema francese, morì due anni dopo a 25 anni a causa di un incidente d’auto in Costa Azzurra. “Cul de sac” è un’espressione francese ormai comunemente usata dappertutto che indica una situazione senza via d’uscita.
Recensione di Giuseppe Pastore
http://cinema-scope.org/2013/05/27/cul-de-sac-roman-polanski-1966-3/