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Le ultime sullo strano disastro dell’aereo di linea Douglas DC-9, precipitato nel mar Tirreno tra le isole di Ustica e Ponza.

Nonostante le ipotesi più diverse (un coinvolgimento internazionale, un cedimento strutturale o un attentato terroristico) a trentatré anni di distanza le certezze sono ancora poche e il recupero del velivolo lascia ancora aperti molti interrogativi e si aggiungono altri misteri.

L’accaduto

Venerdì 27 giugno 1980 l’aereo di linea Douglas DC-9, immatricolato I-TIGI, lascia l’aeroporto di Bologna alle 20:08, due ore dopo l’orario di partenza previsto, a causa di alcuni ritardi accumulati nei voli precedenti. Non arriverà mai a Palermo, luogo di destinazione: a causa di un non meglio precisato problema l’aereo precipita nel Tirreno, tra Ustica e Ponza, causando la morte di tutti gli 81 passeggeri.

Le prime ricerche del velivolo iniziano quasi subito ma solo alle prime luci dell’alba il soccorso aereo individua il relitto in mare aperto, dove il Tirreno supera i tremila metri di profondità.

Il mistero sull’incidente

Nei mesi successivi all’incidente si susseguono le ipotesi sulle cause della tragedia. Si ipotizza che il DC-9 sia stato colpito da un missile aria-aria sparato da un aereo militare o che si sia scontrato direttamente con lo stesso aereo. In alternativa si percorrono anche le piste del cedimento strutturale e dell’esplosione di una bomba a bordo. Le indagini sono massicce e la giustizia italiana si impegna a fondo: si parla di un’istruttoria da due milioni di pagine, con circa 4.000 testimone e 115 perizie.

Proprio da una delle ultime perizie, fatta da alcuni esperti dell’aeronautica militare nel 1982, sono stati ritrovati resti di T4, un plastico presente nelle bombe. Nonostante l’assenza di tracce di TNT, il 5 ottobre 1982 la causa dell’incidente viene individuata nell’esplosione di un ordigno già presente a bordo.

Il recupero del relitto e la smentita della bomba

Nel 1987 il ministro del tesoro Giuliano Amato ordina il recupero del relitto, ancora adagiato sul fondo del Tirreno a 3700 metri di profondità. Alcuni particolari, come la presenza di diversi oblò ancora integri, secondo alcuni esperti escluderebbe la possibilità che a far precipitare l’aereo fosse stata una bomba presente a bordo. In ogni caso, anche il recupero del relitto è destinato a far discutere.

Erano infatti ben poche le imprese in grado di portare a termine una simile operazione e Amato scelse la ditta francese Ifremer, che si scoprì poi essere in combutta con i servizi segreti francesi. In particolare, fecero discutere i filmati dell’ispezione del relitto, che in base ad alcuni particolari non risultarono relativi alla prima ispezione ma a una seconda discesa in mare.

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La svolta del 1989

Due anni dopo la Commissione Stragi inserisce tra le sue competenze l’incidente di Ustica. Dopo un’altra lunga serie di indagini, una nuova perizia smentisce quella dell’aereonautica e il 29 maggio 1990 i periti concludono che fu un missile ad abbattere l’aereo. Nemmeno oggi, a trentatré anni dal disastro, dopo infinite perizie e indagini, una soluzione certa sembra essere vicina.

Quei testimoni morti 12 anni dopo Ustica  

C’è un altro giallo eccellente che si aggiunge a quello di Ustica. Il 2 febbraio 1992, sulle Alpi Apuane vicino Carrara, un Piper si schianta: a bordo ci sono Sandro Marcucci, colonnello pilota di 47 anni (e istruttore della 46ª aerobrigata dell’aeronautica) e l’avvistatore Silvio Lorenzini, 51 anni, di Castelpoggio.

La loro morte non desta apparentemente alcun sospetto: un errore umano, lo schianto, le fiamme.
Eppure, uno dei due piloti (Sandro Marcucci) era stato coinvolto come testimone nel processo sulla Strage di Ustica.
In particolare, l’ex colonnello aveva raccolto la testimonianza di due militari di Pratica di Mare in merito a quanto accaduto proprio al DC-9 il 27 giugno 1980.

Marcucci è il secondo colonnello che muore prima di testimoniare dinanzi il giudice Rosario Priore.
Prima di lui il colonnello Ivo Nutarelli aveva trovato la morte nel 1988, senza deporre in aula. Anche in quel caso un incidente, dovuto invece ad un’esibizione militare (Frecce tricolori) in Germania (Ramstein).

A far riaprire il caso Marcucci ci ha pensato l’associazione antimafia “Rita Atria”, grazie ad un esposto presentato alla Procura competente. Troppe le incongruenze. «Il corpo di Marcucci era carbonizzato – afferma Mario Ciancarella, ex collega di Marcucci – ma la cabina non è stata danneggiata dal fuoco, così come gli alberi intorno al velivolo. Inoltre poco sopra il torace di Sandro era finito il sedile di gomma piuma e gomma, anche quello rimasto integro. Finalmente abbiamo potuto depositare delle fotografie per sostenere le nostre tesi».

Una bomba al fosforo posizionato nel cruscotto del Piper. È questa la tesi sostenuta. I corpi dei due piloti sono stati esumati il 12 giugno 2013 e ancora si attendono importanti risultanze.

Ma è da qui che ripartirà un altro filone d’indagine per fare luce su un dramma con ancora troppe ombre.

di Nicola Guarneri