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Rapportare la storia della nostra Repubblica alla parola “strage” è purtroppo un esercizio obbligatorio in Italia. Ma stavolta la definizione appartiene al pm Massimo Astori in merito alla strage avvenuta ad Erba, Como, l’11 dicembre del 2006, per i quali è stata condannata la coppia di coniugi, Olindo Romano e Rosa Bazzi, dopo tre gradi di giudizio

In quell’occasione morirono quattro persone: Raffaella Castagna (30 anni), Paola Galli (57 anni), Youssef Marzouk (2 anni e tre mesi) e Valeria Cherubini (55 anni). Mario Frigerio (63 anni) rimase ferito e si temette per la sua vita, ma scampò grazie ad una malformazione della carotide.

Conosciamole meglio

Raffaella Castagna ha 30 anni, è disoccupata,  ma  fa la volontaria in una comunità di assistenza a persone disabili. Ha studiato dalle suore Canossiane a Como, una scuola “bene” per famiglie abbienti, come la sua. Lei però è una ribelle, una ragazza che diritti e doveri li conosceva e insomma i piedi sulla testa non se li voleva far mettere. Non segue le regole della sua famiglia, cerca il proprio spazio. Cambia diversi lavori: a Erba presso “Il melograno” come assistente per bambini disabili, a Como dagli anziani del ricovero Don Guanella, con una zia suora, sorella del padre Carlo, quindi come educatrice part-time con anziani malati psichici a Villa Cusi a Magreglio.

Dalla famiglia prende le distanze abbastanza presto, a 23 anni, godendo dell’appartamento che le regala il tanto disprezzato padre. Per la verità, di questo appartamento ne godono in molti, poiché Raffaella è molto generosa nell’ospitare gente bisognosa, anche incontrata da poco, senza distinzione di razza. Vi sono anche due persone domiciliate presso di lei. C’è sempre cibo e riparo, lì.

Nel marzo 2003 sposa Azouz Marzouk, tunisino conosciuto in piazza del mercato ad Erba e, circa un anno dopo, il 6 settembre 2004, nasce il piccolo Youssef.

Quel giorno alle 14:25 è a lavoro. Alle 18.30 cena con gli ospiti e il personale. Poco dopo una collega la vede fare una telefonata, non si sa con chi. Poi, al termine della giornata lavorativa era solita servirsi di una linea di pullman della SPT di Como, che parte da Civenna alle ore 19.07 e arriva solitamente in stazione di Canzo–Asso alle 19.30 circa. Alle 19:36 presumibilmente sale sul treno a Canzo.

Giunge a Erba, secondo ciò che abitualmente faceva, alla stazione alle 19:49. Potremmo presumere che ad attenderla ci siano Paola con Youssef, ma non ne abbiamo la certezza, poiché nessuno le vede arrivare  tutte insieme in via Diaz. Ammettiamo che sia così: alle 19:56 sono davanti alla palazzina, un paio  di minuti e sono di sopra. Entra in casa, ma la corrente non c’è, staccata dalle 17:40.

Paola Galli ha 57 anni, è la mamma di Raffaella, una donna gentile, generosa, pronta anche lei ad aiutare gli altri, Dama di San Vincenzo. Con Raffaella non è riuscita ad allentare i rapporti, soprattutto dopo l’arrivo del bellissimo Youssef. Sebbene non sia andata al matrimonio, ha sempre mantenuto i contatti almeno telefonici e non ha mancato mai di darle un aiuto economico. Alla nascita del piccolino, i rapporti tornano più intensi. Paola si occupa di lui mentre Raffaella è al lavoro, lo fa mangiare tre le 18:30 e le 18:50, poi lo riaccompagna a casa, verso le 19.25. Ha fatto così anche l’11 dicembre. In genere non sale in casa della figlia, lo dicono anche i vicini, ma quella sera sì e lascia stranamente la lancia K con le chiavi inserite nel quadro, la portiera aperta. Stranamente lascia a casa borsetta e cellulare e indossa delle pantofole da casa.

Youssef Marzuok ha poco più di due anni, due anni e tre mesi per la precisione, è il figlio di Raffaella e Azouz, un bellissimo bambino, “l’angelo della casa” come lo definisce nonno Carlo, che porta un raggio di luce nella vita di tutti i componenti la famiglia Castagna, facendoli riavvicinare. Andava matto per la salsa di pomodoro ed il nonno era solito aggiungergliene a cucchiaiate nel riso. «Lo ricordo bene, quella sera – racconta- con il labbro superiore e il musetto tutti rossi di “pummarola”».

Anche Rosa ed Olindo, in una intercettazione ambientale, lo ricordano come un bimbo con due occhi bellissimi, bello, di cui proprio non si poteva dire nulla di male.

Valeria Cherubini, ha 50 anni, sposata con Mario Frigerio, vicina di casa di Raffaella. Lavora, ha due figli, cerca di tenersi in forma, ama la sua cagnolina Martina, che porta sempre fuori a spasso la sera, anche quella sera. Prima era andata con il marito Mario a fare la spesa all’Esselunga di Lipomo, rientrando verso le 17.15 – 17.30 e avevano cenato circa alle 19:00. Alle 20:00 si prepara per accompagnare fuori Martina e sente, con il marito, qualche urla; una in particolare molto forte, molto strano.

Mario le dice di aspettare un pò prima di uscire. Dopo quell’urlo, più nessun rumore.  Pensano ad una delle solite liti tra Raffaella ed Azouz. Valeria aspetta circa 5 minuti, poi Martina la incalza per uscire, quindi stanno fuori per circa 15 minuti. Alle 20:16 la incontra l’avvocato Elena Galliani in piazza del mercato. Rientrata, nota del fumo. È un pò spaventata, pensando anche che dentro probabilmente ci sono Raffaella con il piccolo Youssef. Scende con il marito per vedere cosa stesse succedendo.

Martina è un’anziana cagnolina, di proprietà dei Frigerio. La portava sempre fuori Valeria.

Loro sono le vittime di questa storia,  insieme a Mario Frigerio, marito di Valeria, sopravvissuto per un puro caso e divenuto l’unico testimone oculare della strage,  la vittima-testimone che imprime una svolta decisiva alla vicenda.

(foto fonte web)
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Cosa avvenne quella sera?

Tra le ore 20:15 e le  ore 20.20 Vittorio Ballabio si affaccia alla finestra per scuotere la tovaglia e vede del fumo che esce dalla finestra del pianerottolo dei Castagna che da sulla corte. L’orario è preciso, poiché prima ha guardato l’orologio del videoregistratore. Preoccupato ed allertato dal vicino Martino Molteni, esce in tutta fretta e va a citofonare al vicino Glauco Bartesaghi, volontario dei vigili del fuoco.

Ma torniamo a Bartesaghi e Ballabio: alle ore 20:23 corrono all’ingresso della palazzina, dopo aver spostato l’autovettura Lancia K di proprietà di Carlo Castagna parcheggiata proprio all’ingresso della palazzina in fiamme, in posizione di intralcio. Sono costretti a chiamare il 115. Ballabio, su suggerimento di Bartesaghi, va a prendere un estintore. La porta della palazzina è aperta, la luce delle scale accesa. Bartesaghi, salito al primo piano, trova Mario Frigerio che abita nella mansarda di sopra, a metà tra casa Castagna ed il pianerottolo, gravemente ferito, ma ancora vivo.
Lo sposta verso la scala. Entra nell’appartamento di Raffaella, privo di luce, illuminato solamente dal fuoco che ormai divampa. All’inizio del  corridoio vede Raffaella a terra, supina, la trascina fuori, prendendola per le caviglie, già vittima del fuoco. Cerca di sedare le fiamme che avevano preso il corpo e gli indumenti della donna. Vorrebbe rientrare per cercare il piccolo Youssef, ma ormai l’incendio si è impadronito dell’appartamento. Deve uscire.

Adesso anche Ballabio è presente, in tempo per prestare i primi soccorsi al Frigerio, il quale riesce a gesti a far capire  che sua moglie è di sopra nella loro mansarda, da dove si sentono venire i lamenti, le grida di aiuto di Valeria. Purtroppo il fumo intenso ed il fuoco rendono impossibile salire. Bartesaghi tenta di raggiungerla invano, perché giunto al termine della prima rampa di scale, dopo aver aperto la finestra della tromba delle scale della palazzina, è costretto dal troppo fumo ad abbandonare i soccorsi per mettersi in salvo. Scende nuovamente al primo piano, tenta un ulteriore intervento all’interno dell’appartamento Castagna, scaricando interamente il piccolo estintore che nel frattempo Ballabio gli aveva procurato.

Sono circa le 20:20. I due scendono bussando alla porta di altri inquilini per avvertirli dell’incendio, ma non trovano nessuno, eccetto il siriano Abdelkarim Khaoluf sulla porta, al quale Bartesaghi chiede il cellulare per chiamare nuovamente il 115.

Quindi vanno fuori, dopo aver staccato l’interruttore generale della palazzina. Alle ore 20:29 giunge al Comando Provinciale la telefonata di richiesta di intervento, immediatamente smistata alle sede decentrata di Erba; pochi minuti dopo giunge sul posto il personale della sede distaccata. L’auto medica è sul posto alle ore 20:38. Alle ore 20:47 arriva invece il personale del Comando Provinciale di Como.

Soccorsi e forze dell’ordine

I carabinieri di Erba, Vito Rochira e Alessio Ciancio, arrivano alle 20:40. Si rendono conto della gravità della situazione e richiedono l’ausilio del loro comandante, luogotenente Luciano Gallorini che giunge cinque minuti dopo con Angelo Cammilleri ed il maresciallo Gianluca Bellapadrona, mentre il fuoco era ancora attivo ed erano in corso le operazioni di spegnimento.

Il vigile del fuoco Ferruccio Miotto, dopo aver azionato la prima autopompa e ricevuti i primi ragguagli dal Bartesaghi, manda due uomini nell’appartamento di Raffaella ed altri due in quello dei Frigerio al secondo piano. Sin da subito il bilancio apparte terribile: al primo piano furono rinvenuti i corpi di Raffaella Castagna, di Paola Galli e del piccolo Youssef, al secondo invece quello di Valeria Cherubini, la moglie di Mario Frigerio, in posizione genuflessa in una pozza di sangue davanti ad una finestra.

Vengono prestati i primi soccorsi al Frigerio, con respiro e polso ancora validi, cosciente, ma non in grado di parlare. A gesti cercava di richiamare l’attenzione su quanto avveniva al piano di sopra.
Indica “uno” o “di sopra”, l’interpretazione è controversa e lui poi non ricorderà questo particolare, per indicare  che c’è la moglie ferita e, al medico del 118, anche “tre”, forse per indicare il numero delle persone lì di sotto. Comunque il significato di questi gesti non è chiara.

Intanto i Vigili del fuoco evacuano la palazzina ed impediscono ulteriori accessi all’interno. Impossibile quindi tentare ulteriori interventi di soccorso.

(foto fonte web)
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La rapida successione dei fatti

Verso le ore 20:58, si procede all’intubazione del Frigerio e al suo trasporto all’Ospedale S. Anna di Como.

Alle 21:00 si unisce la seconda auto medica ed il dottor Marco Paiella entra per primo negli appartamenti dove è avvenuta la strage.

Alle 21:47 giunge un quarto mezzo dei Vigili del Fuoco.

Alle 23:00 è la volta del medico legale Giovanni Scola.

Le indagini, condotte inizialmente dal procuratore di Como, Alessandro Lodolini, si concentrano su Azouz Marzouk, nato il 28 aprile 1980 a Zaghouan (Tunisia), marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef Marzouk che aveva precedenti penali per spaccio di droga era uscito dal carcere grazie ad un indulto. È lui il mostro della primissima ora. I carabinieri si precipitano a Merone, a casa dei suoi parenti, perquisiscono e sequestrano, ma si scoprirà presto che Marzouk era in Tunisia in visita ai genitori al momento dei fatti; rientra precipitosamente in Italia, dove viene interrogato dai carabinieri. Gli inquirenti confermano il suo alibi e iniziano a sospettare di un regolamento di conti compiuto contro di lui. Ci si disinteressa dei suoi numerosi fratelli, cugini ed amici.

Ma è il Comandante della Stazione dei carabinieri di Erba a coordinare i primi atti di indagine, riuscendo ad individuare la stessa notte alcuni spunti investigativi che poi si riveleranno decisivi per l’esito dell’inchiesta.

Vengono da subito seguite due ipotesi investigative: la prima legata a possibili coinvolgimenti nei fatti di familiari dei defunti, seguendo quindi la pista familiare, quella legata ad Azouz, che subito naufragherà; la seconda legata a possibili coinvolgimenti di persone che avevano avuto dei diverbi con le vittime. Ipotesi “sponsorizzata” da Gallorini.

Inoltre, come si legge nella sentenza di primo grado: «Nel frattempo a partire dalla notte stessa e peri giorni che immediatamente seguirono, vennero escussi a sommarie informazioni tutti i condomini della Corte di Via Diaz: fatta eccezione per Ballabio Vittorio, la moglie Mengacci Monica, e per Bartesaghi Glauco, la stragrande maggioranza delle informazioni in tal modo ottenute era apparsa subito priva di particolare interesse ai fini dell’indagine e non aveva offerto grandi spunti».

È sostanzialmente la stessa deposizione del Manzeni e del tunisino senza fissa dimora, Ibrahim Chemcum, l’extracomunitario che racconta molte cose e poi scompare.

I precedenti  

Dai vicini, quindi, non emerge nulla di rilevante, tranne per un’eccezione: i coniugi Romano, Olindo e Rosa Bazzi, che abitavano al piano terra, circa sotto Raffaella. Su di loro l’attenzione degli inquirenti si era appuntata dopo avere accertato che agli atti della Stazione dei carabinieri di Erba vi era traccia di continui contenziosi con la famiglia Castagna, contenziosi che avevano spesso avuto anche risvolti penali.

Il maresciallo Nesti verso le 2:30, rientra a Erba in via Diaz dopo essere stato a Merone per controllare l’abitazione dei parenti di Azouz. Ha il compito preciso di procedere alle prime verifiche presso l’abitazione dei coniugi Romano. Aveva dovuto suonare più volte il campanello e dopo qualche interminabile minuto Rosa Bazzi aveva aperto la porta. Desta meraviglia nei carabinieri il fatto che avessero la lavatrice in funzione a quell’ora di notte, ma ci si dimentica sempre di dire che anche i parenti di Azouz a Merone l’avevano in funzione un’oretta prima, non di più.

Rosa poi mostra lo scontrino del McDonald’s di Como, per dimostrare che erano stati fuori per un pò quella sera. La sua sollecitudine sarà sospetta.

Dai vicini, quindi, non era emerso nulla di rilevante, tranne per una eccezione: i coniugi Romano, Olindo e Rosa Bazzi, che abitavano al piano terra, circa sotto Raffaella. Su di loro l’attenzione degli inquirenti si era appuntata dopo avere accertato che agli atti della Stazione dei Carabinieri di Erba v’era traccia di continui contenziosi con la famiglia Castagna, contenziosi che avevano spesso avuto anche risvolti penali.

Il maresciallo Nesti, verso le 2:30, rientra a Erba in via Diaz dopo essere stato a Merone per controllare l’abitazione dei parenti di Azouz. Ha il compito preciso di procedere alle prime verifiche presso l’abitazione dei coniugi Romano. Aveva dovuto suonare più volte il campanello e dopo qualche interminabile minuto Rosa Bazzi aveva aperto la porta. Desta meraviglia nei carabinieri il fatto che avessero la lavatrice in funzione a quell’ora di notte, ma ci si dimentica sempre di dire che anche i parenti di Azouz a Merone l’avevano in funzione un’oretta prima, non oltre.

Rosa poi mostra lo scontrino del McDonald’s di Como, per dimostrare che erano stati fuori per un pò quella sera. La sua sollecitudine sarà sospetta.

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Alle 3:00 circa gli inquirenti, ormai insospettiti, avevano sequestrato alcuni indumenti contenuti nella lavatrice e nell’asciugatrice, li avevano condotti in caserma per essere sentiti a sommarie informazioni e intanto veniva fatta richiesta alla Procura per l’intercettazione ambientale sull’auto e nella loro abitazione.

Verso le 5:00 i coniugi erano già stati sentiti ed avevano raccontato come avevano trascorso la giornata, confermando entrambi lo stesso alibi; verso le 20:00 si erano recati a Como, avevano posteggiato in Viale Lecco, avevano guardato un po’ le vetrine del centro, poi erano andati a mangiare al McDonald’s sotto i Portici Plinio. Erano rientrati all’incirca alle 22:00, come testimoniato da Nicola Mariani. Olindo si trattiene con gli altri abitanti della corte sino alle 00:30 circa, poi, richiamato da Rosa, si ritira per dormire. Il giorno dopo deve alzarsi alle 5:00 per andare al lavoro. Invece alle 2:30 vengono svegliati dai Carabinieri.

Il primo sopralluogo

Il giorno 12 dicembre, i RIS di Parma, guidati dal colonnello Luciano Garofano effettuano un primo sopralluogo. I rilievi continuano anche il giorno successivo.

Tornano anche il 9 gennaio per completare le attività in casa di Raffaella, dei Frigerio, di Olindo e Rosa, camper compreso. È tutto filmato e fotografato. Appaiono tre ambienti: quello Castagna in disordine e devastato dal fuoco; quello Frigerio imbrattato di schizzi di sangue; quello dei Romano pulitissimo ed ordinatissimo. In casa dei Romano e nel loro camper non fu trovata nessuna traccia che li mettesse in relazione con la strage.

Il 26.12.2006, verso le 21:30 gli ufficiali di P.G., Graziano Meloni e Cristiano Carroli del Comando provinciale di Como, si recano a casa di Olindo e Rosa e gli chiedono di ripercorrere in auto e a piedi il tragitto di andata e ritorno compiuto la sera dell’11 dicembre, al fine di cronometrare i tempi necessari per i vari spostamenti. E qui bisogna fare una precisazione.
Il giorno 26 dicembre ancora non si sa che Olindo, il giorno 10, avrebbe detto che lungo il tragitto fecero numerose soste per lasciare i sacchi dell’immondizia nei vari cassonetti, tra Erba, Longone e Lipomo.
Quindi i tempi di percorrenza non sono assolutamente esatti. O meglio: lo sono per come si sono svolte realmente le cose, ma non per come l’accusa li ha intesi.

Gli accertamenti

Intanto sulla loro auto, rimasta parcheggiata presso il Comando, venivano predisposti accertamenti tecnici urgenti per la ricerca di eventuali tracce di sangue utili al proseguimento delle indagini. I rilievi vengono fatti verso le ore 23.00.

L’utilizzo del luminol aveva dato risultati sulla portiera e sul battitacco lato guida, sulla maniglia per regolare il sedile e sulla parte destra del sedile passeggero. Perciò si era proceduto alla repertazione. I prelievi erano stati consegnati al consulente tecnico il 29 dicembre.

Il 5 gennaio i Romano erano stati nuovamente richiamati dai carabinieri per rilasciare le loro impronte digitali. In alcune conversazioni Rosa dice ad un’amica che sono un pò stanchi, ma i carabinieri devono fare il loro lavoro.

Intanto le indagini in corso, ovviamente a senso unico, avevano iniziato a dare i primi significativi risultati che, ovviamente, riconducevano ancora una volta a loro.

E intanto vennero totalmente dimenticati:

–          L’ultima telefonata fatta da Raffaella non si sa con chi

–          L’appartamento sfitto

–          L’ulteriore esame di Manzeni e Chemcum e anche del siriano e di Cemil Yasa

–          La verifica di dove fosse realmente l’auto di Olindo quella sera

–          Le impronte non identificate

–          Il telefonino di Raffaella e il suo computer

–          Le altre possibili vie di fuga, soprattutto il terrazzo di Raffaella

–          I parenti di Azouz

Ai primi di gennaio, ma non si sa bene quando con precisione, era stata depositata in Procura la relazione preliminare concernente gli esiti delle indagini genetico-forensi sui prelievi dei reperti eseguiti sull’auto di Olindo. Uno dei tre aveva permesso di individuare un profilo genetico complesso, costituito da una componente maggioritaria perfettamente sovrapponibile al profilo genetico di Valeria Cherubini.

Il cerchio si stringe   

Frigerio riconosce in Olindo Romano il proprio aggressore e sappiamo con quale modalità.
Sulla base di questi decisivi ed ulteriori elementi, l’8 gennaio si procede al fermo dei due imputati, fermo convalidato dal GIP con contestuale applicazione nei confronti di entrambi della misura cautelare della custodia in carcere.

Nell’immediato, davanti al Pm la coppia si professa innocente. È solo dopo due giorni che iniziano a fare le prime “confessioni”, per arrivare al 12, dinanzi al GIP. Le loro confessioni restano comunque vaghe e contraddittorie su molti punti.

In udienza, il 18 febbraio 2008, in sede di spontanee dichiarazioni, affermano la loro innocenza e ribadiscono di essere stati indotti a confessare, la mattina del 10, dietro la falsa promessa di fortissimi sconti di pena; di incontri più frequenti  tra loro durante la carcerazione; addirittura della scarcerazione per Rosa.

Il 26 febbraio testimonia l’unico testimone oculare, Mario Frigerio, che conferma in Olindo Romano e una «seconda persona, una donna, quasi sicuramente Rosa Bazzi» gli autori della strage.

Il 28, Olindo Romano rilascia una seconda dichiarazione spontanea, confermando il presunto lavaggio del cervello e dichiarando di essere stato «trattato come una bestia» nel carcere di Como, chiedendo di non essere separato dalla moglie.

Il 31 marzo la difesa, invocando il cd. “legittimo sospetto” chiede di spostare il processo lontano da Como perché i media locali avrebbero un atteggiamento ostile nei confronti degli imputati. L’istanza è però respinta.

Il 2 aprile si ascolta in aula la prima dichiarazione di Mario Frigerio, che, pur gravemente ferito, descrive la dinamica della Strage. Anzi, per la precisione descrive la dinamica della sua aggressione, poiché egli non ha assistito né a ciò che avvenne in casa di Raffaella, né all’aggressione a sua moglie, avendo perso i sensi.
Il risultato è comunque una conferma della colpevolezza dei Romano. La difesa, allora, chiede la ricusazione dei giudici, sostenendo che avrebbero posizioni pregiudiziali nei confronti degli imputati. Il processo è nuovamente sospeso.

Il 17 novembre 2008 la Corte di Cassazione respinge la ricusazione dei giudici. Il processo riprende con la requisitoria del pubblico ministero Massimo Astori. Al termine della requisitoria, quest’ultimo chiede il massimo della pena per i due coniugi: ergastolo senza attenuanti con l’isolamento diurno per tre anni. Per il Pm, la strage di Erba è stata «La più atroce impresa criminale della storia della repubblica».

Il 19 novembre Olindo rilascia la sua terza dichiarazione spontanea, sostenendo di aver recitato fino a quel momento la parte del mostro come strategia difensiva, e che in questa recita rientrava la confessione rilasciata allo psichiatra Massimo Picozzi e le frasi lasciate appositamente su una Bibbia in suo possesso, contenenti ingiurie ed invettive contro le vittime, dichiarazioni d’amore alla moglie e poesie.

L’epilogo processuale

Il processo contro Olindo e Rosa subisce diversi colpi di scena ma nulla porta a un epilogo diverso risapetto a quello prospettato a inizio processo.
Marzouk, marito di Raffaella Castagna e padre del piccolo Youssef, invia un fax dal carcere di Vigevano, dove è rinchiuso per spaccio di droga, in cui parla della visita di uno sconosciuto dai suoi parenti in Tunisia, durante la quale questo sconosciuto avrebbe dichiarato di conoscere i reali colpevoli della strage e che essi non sarebbero i coniugi Romano. Poco dopo però Marzouk spiega di essere «ancora convinto della colpevolezza di Olindo e Rosa Romano ma di essere preoccupato per la sua famiglia». Per il Pm, «Marzouk vuole solo ritardare l’espulsione», quindi la sua dichiarazione non ha alcun peso.
In seguito Olindo rilascia la quarta dichiarazione spontanea, ribadisce la sua innocenza e quella della moglie ed esprime cordoglio per i familiari delle vittime.

In seguito, a pronunciarsi è la Corte d’Assise prima (con la condanna all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni), la Corte d’Assise d’Appello di Milano poi (il 20 aprile 2010) e infine la Corte di Cassazione (il 3 maggio 2011) a chiudere l’iter processuale per la coppia ritenuta colpevole della strage di Erba.

Tuttora, Rosa Bazzi sta scontando la pena nel carcere di Bollate, mentre Olindo Romano sta scontando la pena nel carcere di Opera, proclamandosi sempre innocenti. Esiste una pagina facebook, “Olindo Romano e Rosa Bazzi innocenti” ed è stato creato il “Comitato Rosa-Olindo: giustizia giusta” per cercare di far luce su questa vicenda che ha ancora troppi risvolti poco chiari.

Queste le ombre di una storia che forse conoscerà a breve una nuova fase; un epilogo che vede crescere nell’opinione pubblica l’idea che Rosa e Olindo siano innocenti. Ad oggi sono in molti a mobilitarsi per chiedere la riapertura del caso, per ribaltare una sentenza che lascia ancora troppi dubbi e pochissime certezze. E probabilmente non passerà moltissimo tempo prima che le vittime dell’orrenda Strage troveranno giustizia, stavolta per sempre.

di Paola Pagliari