Daniel Harold Rolling, detto the Gainesville Ripper, lo Squartatore di Gainesville, è stato giustiziato il 25 ottobre 2006 nel carcere di Starke in Florida. La sua carriera di omicida seriale conta ben 8 vittime accertate: 5 studenti universitari e una famiglia di 3 persone, triplice omicidio confessato poco prima di essere giustiziato. Sulle vittime sono state riscontrate violenza sessuale, torture in vita, smembramento e messa in scena del cadavere.
Prima di essere giustiziato, Danny Rolling ha scritto insieme a Sondra London le sue memorie nel libro Making of a Serial Killer, corredato da macabri disegni che ha realizzato personalmente. Ha fatto in tempo anche a sapere di aver ispirato i film della serie Scream di Wes Craven.
Nel 2010 dalla sua storia è stato tratto il film The Gainesville Ripper.
Furti e rapine – I primi crimini commessi
Incapace di mantenersi a lungo un lavoro, Daniel Rolling inizia a rubare: furti d’auto e rapine ai supermercati. Impara presto a intrufolarsi negli appartamenti, dopo aver studiato le abitudini degli inquilini. Dal 1979 in poi per lui entrare e uscire di prigione diventa un’abitudine. Quando è fuori, vive con i suoi: spinto dalla madre, cerca per un po’ un lavoro e di tenersi lontano dai guai. La convivenza con il padre però diventa sempre più difficile, perciò ogni volta riprende a bere e a drogarsi, infine a rubare. Spesso lascia la casa paterna e fugge lontano, senza una meta precisa. Si ferma solo quando lo arrestano per l’ultimo furto.
I delitti dello Squartatore di Gainesville
L’ufficiale di polizia Ray Barber è convinto di stare perdendo tempo, quando il 26 agosto 1990 va a controllare l’appartamento di tre universitarie diciassettenni dietro l’insistenza dei genitori di una di loro, preoccupati perché da alcuni giorni non hanno più notizie della figlia. Dato che la porta è bloccata e sembra che non ci sia nessuno all’interno, entra dalla finestra. Trova subito i corpi di Christina Powell e Sonja Larson. La terza inquilina si è salvata dalla furia di Daniel Rolling solo perché non era in casa. Le ragazze sono state accoltellate più volte, spogliate, mutilate e lasciate a gambe divaricate, come a voler suscitare il massimo ribrezzo in chi le avesse scoperte.
La stampa si impossessa subito della notizia e, descrivendo i più macabri particolari, terrorizza la popolazione, ricordando che “chiunque può essere la prossima vittima”. Gli studenti universitari sono i più spaventati, perciò cominciano a muoversi in gruppi, soprattutto le ragazze.
La polizia, alla quale si affiancano presto esperti dell’FBI, tenta inutilmente di tranquillizzare gli abitanti della cittadina, perché la sete di sangue di Danny non si è placata e già il giorno dopo uccide ancora, due universitari ventitreenni, Tracy Ines Paules e Manuel R. Taboada, che vivono insieme, anche se in camere separate.
In questo caso i cadaveri non sono stati mutilati: forse è accaduto qualcosa per cui Rolling temeva di essere scoperto, se si fosse accanito sui corpi. Da notare che le ragazze uccise da Rolling sono tutte molto simili: brunette, minuti e attraenti, molto simili alla ex moglie che lo aveva lasciato pochi anni prima.
La cattura e la prigionia
L’8 settembre del 1990, dopo una rapina a mano armata e un rocambolesco inseguimento in autostrada, Danny Rolling viene arrestato in Georgia, però ancora nessuno sospetta che sia un pluriomicida.
Rolling in prigione si vanta delle sue “imprese” con un altro detenuto, Robert Lewis il quale riferisce tutto alle autorità. Daniel Rolling, che aveva confessato i suoi crimini, con tanto di particolari raccapriccianti, anche su una musicassetta rinvenuta nei suoi pochi effetti personali, viene definitivamente incriminato per gli omicidi commessi.
Durante il processo Rolling tenta di convincere la giuria che la responsabilità dei suoi delitti è da attribuirsi al suo alter ego cattivo, “Gemini”. I tre psichiatri dell’accusa riconoscono che Rolling soffre di un forte disordine di personalità ma sostengono che nel commettere gli omicidi era perfettamente in grado di intendere e di volere. Il 20 febbraio 1994 viene condannato a morte.
Omicida e artista
È possibile ipotizzare un parallelismo tra il processo creativo dell’artista, in particolare quello figurativo, e quello omicidiario degli assassini seriali. Artista e assassino seriale vivono in una sorta di insoddisfazione perenne che si rinnova all’infinito e li spinge a ripetere sempre con le stesse modalità/atti ritualistici le fasi che l’hanno portato a compiere l’opera. Per il primo si tratta di un processo creativo che porta alla realizzazione di capolavori che ottengono l’approvazione del pubblico, mentre nel secondo è distruttivo ed è biasimato, però entrambi suscitano attenzione.
Pensiamo ad esempio al fatto che, una volta catturati, molti assassini seriali chiedono la possibilità di disegnare, quasi come se il processo artistico fosse una sorta di compensazione o surrogato di quello omicidiario che non possono più commettere.
I disegni di Daniel Rolling, realizzati per lo più a penna o a china, di genere gotico-fantastico, rappresentano soggetti tetri e macabri, in cui sono spesso presenti armi da taglio e oggetti appuntiti; negli autoritratti si raffigura con un teschio o con le sembianze della morte.
Prima di passare alle torture e all’omicidio, Rolling ha commesso una serie lunghissima di crimini diversi, perfezionandosi come se stesse preparando strumenti e conoscenze per realizzare “il suo capolavoro”. Quando è passato prima allo stupro e poi all’atto omicidiario, ha fatto di tutto per impressionare un pubblico potenziale (dai primi a rinvenire i cadaveri all’opinione pubblica), arrivando a disporre un cadavere squartato e decapitato su una sedia e riponendo la testa su uno scaffale della libreria e i capezzoli sul letto.
Rolling ha provocato stupore, meraviglia nel senso più antico del termine, quello cioè che non prevede necessariamente l’approvazione di ciò che lo ha suscitato.
Lo stesso Daniel Rolling ha riconosciuto il parallelismo tra processo creativo e omicidiario, sostenendo che “l’artista è un’organica commistione di cuore e anima. L’artista è più o meno la stessa cosa”.
di Francesca De Rinaldis