Tutte le volte che abbiamo incontrato qualcuno sulla nostra strada le domande hanno cominciato a piovere. La prima, inevitabile come le tasse, era la domanda base, quella fondamentale, la madre di tutte le domande, quella che facevano tutti, dal ciclista allo sborone da bar: perché?
La domanda più semplice ma alla fine più imbarazzante. Che rispondere? Boh. Potevamo buttarla sullo sportivo (fa bene muoversi). Potevamo azzardarci sul filosofico (i sapienti greci divulgavano la loro scienza camminando).
Potevamo provare la via spirituale (c’è bisogno a volte nella vita di isolarsi, meditare, conoscere meglio se stessi). Ed era praticabile la strada religiosa (eravamo attratti dalla mistica del pellegrinaggio). E infine il letterario: Stendhal, Goethe, Kerouac. Alla fine abbiamo scelto due tipi di risposta.
La prima, un po’ dada, un po’ situazionista, ammesso che tutto ciò che sto scrivendo abbia un senso, “Perché no?” E la faccenda finiva lì, davanti allo sguardo sbigottito dell’interlocutore che non si aspettava che all’impresa imbecille corrispondesse una motivazione imbecille. La seconda risposta era più articolata: a giugno non avevamo un cazzo da fare.
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Claudio Sabelli Fioretti , Giorgio Lauro
casa editrice: Chiarelettere