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La psichiatra, Daniele Canarelli, è stata condannata per omicidio colposo ad un anno di reclusione. Sono ormai trascorsi alcuni mesi da quando il tribunale francese di Marsiglia ha emesso la sentenza a dir poco singolare. La notizia non sarebbe tale se la verità processuale, emersa a seguito di un giusto processo, avesse riconosciuto nella psichiatra “la mano” che ha cagionato la morte di un altro individuo: cosi non è. Pare che i giudici abbiamo raggiunto il verdetto in questione a seguito di un evento a dir poco eccezionale.

Il tribunale ha deciso che nel caso in cui il paziente che hai in cura, ritenuto in buona fede “guarito”, scappando dall’ospedale in cui era ricoverato, torna a casa e uccide un suo familiare, tu psichiatra sei colpevole; l’epilogo della vicenda è “aggravato” dal fatto che più volte la dottoressa Daniele Canarelli si è rifiutata di internare il paziente in un reparto protetto a seguito di un giudizio presuntivo di non pericolosità.

La sentenza del giudice è basata sulla convinzione che la psichiatra avrebbe commesso «degli errori multipli che hanno contribuito al passaggio all’atto violento di Joel Gaillard» che aveva già commesso, prima del dramma, un gran numero di aggressioni ed un tentato omicidio. «Senza contare – continua il verdetto del magistrato- che il medico si era ostinato, nei certificati successivi, a sottolineare l’assenza di patologie mentali, nonostante le opinioni contrastanti dei suoi colleghi».

Nel 2004, Joel Gaillard fugge dal reparto in cui era internato per andare a uccidere il compagno dell’anziana nonna colpevole, secondo i deliri del giovane, di volersi appropriare dell’eredità di famiglia. Immediatamente dopo la triste vicenda, uno dei figli della vittima denuncia la dottoressa Canarelli dando il via a tutto l’iter processuale.

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Si accendendo i riflettori mediatici, si divide in due un paese tra innocentisti e colpevolisti. Una battaglia a dir poco surreale che vede contrapposti da una parte i medici e dall’altra le associazioni dei parenti delle vittime. Come camminare su un campo minato; si ha a che fare con la follia che per ovvie ragioni non può essere considerata una malattia come tutte le altre poiché è difficile da misurare o da cancellare.

Dove viene posto il punto di demarcazione tra giusto e sbagliato? Tra coerenze e incoerenza? Tra atti responsabili e irresponsabili? Si deve sempre e comunque credere nel reinserimento o l’imprevedibilità di una mente portatrice di disturbi deve sempre e comunque essere affrontata come una bestia nera da segregare? Intervistato dalla Repubblica uno degli psichiatri più famosi d’Italia, Giovan Battista Cassano risponde dicendo: «Predire la pericolosità sociale di un soggetto con una patologia mentale, anche dopo anni di terapia, è quasi impossibile.

Ogni mattina quandomi alzo spero di non leggere una notizia di cronaca nera che riguarda un paziente che ho curato, che è passato nei nostri reparti. Spero che non abbia fatto male a se stesso, alla moglie, ai suoi bambini…perché c’è sempre una parte non governabile nella malattia mentale, ma anche, aggiungo, in soggetti che sembrano perfettamente sani».

Il Professore continua affermando: «Se pensiamo che le persone debbano essere restituite alla società, fuori dalle carceri, fuori dagli ospedali psichiatrici, dobbiamo correre il rischio di questa libertà». L’alternativa, infatti, è «tenere tutti dentro, riaprire i mani-comi, luoghi di contenzione da cui non si esce più, abdicando così al principio del recupero e del reinserimento». È dunque insito nella professione di chi cura la malattia mentale il rischio di errore, «ma non può e non deve essere lo psichiatra a pagare».

Probabilmente dovrebbero essere avanzate proposte su eventuali strutture di controllo che coadiuvano gli individui e le famiglie dopo il periodo di ricovero cosi da poter credere che davvero la società si occupa di tutti, anche dove “la normalità” sembra lontana, anche nei confronti di chi ha sbagliato.

La condanna, inaspettata, è stata giudicata «terrificante» dalla categoria. Intervistato dal Nouvel Observateur, il presidente del sindacato degli psichiatri ospedalieri francese, Jean-Claude Pénochet, ha confessato di essere «estremamente inquieto» e ha definito lo stato d’animo «mio e di tutta la professione», come un misto tra «tristezza e desiderio di ribellione». Insomma, tra la «giustizia e la psichiatria è venuta a mancare la fiducia» e il rischio è che per essere tutti più tranquilli, i medici saranno disposti a «tenere tutti rinchiusi».

di Alberto Bonomo