“E l’acqua si riempie di schiuma, il cielo di fumi/ la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi”. Basterebbero questi primi due versi del brano “Eppure soffia” del compianto cantautore reggiano Pierangelo Bertoli, per capire quanto poco gli uomini tengano all’ambiente.
La celebre canzone ecologista è stata scritta nel 1975, quando le problematiche ambientali legate all’inquinamento erano già gravi, ma non raggiungevano le pericolose soglie odierne, eppure – mentre il vento soffia ancora, magari in egual modo – le parole di Bertoli sono rimaste del tutto inascoltate: l’avvelenamento delle acque e dei fiumi, per citare proprio l’attacco della canzone, non si è arrestato e, anzi, è degenerato.
Ne parla in maniera approfondita il giornalista de “La Stampa” Gianni Lannes, da sempre attivo nelle attività di inchiesta riguardanti l’ambiente. Dal blog “Su la testa!”, Lannes ha voluto riportare alla mente degli italiani un problema che tutti conosciamo, ma che spesso facciamo finta di non ricordare: le armi chimiche riversate in mare. Oltre agli scarichi industriali e ai rifiuti tossici, infatti, l’uomo ha preso l’abitudine di avvelenare le acque anche con rifiuti di ordigni chimici letali per la salute dell’ecosistema e dell’essere umano stesso.
Ecco un’altra “chimica lebbra” che distrugge la vita nei fiumi. Quando la guerra è finita, attenzione, non finiscono i suoi effetti mortali: i mari e gli oceani, già saturi di scorie nucleari, sono diventati una discarica abusiva di competenza mondiale, nella quale vengono ‘seppellite’ tonnellate di armi contenenti cianuro, fosforo, Zyklon B (quello usato nei campi di sterminio nazi-fascisti) e altri agenti nervini.
Uno studio del 1993 dell’Acda – l’agenzia Usa per il controllo delle armi e del disarmo – ha testimoniato che (dal secondo dopoguerra a inizio anni Novanta), gli Stati Uniti hanno effettuato 60 scarichi in mare per un totale di 100 mila tonnellate di armi chimiche piene di materiali tossici, anche in zone limitrofe alle coste italiane.
L’Italia stessa, non è assolta da tale scempio: basti pensare che le cartelle cliniche dei pescatori pugliesi contaminati, sono tutt’oggi coperte da segreto di Stato. Se gli Stati Uniti (il Paese più inquinante del mondo) sono autorizzati a usare come discarica i nostri mari e se le malattie che ne derivano sono occultate ad opera d’arte, forse i nostri governi sono coinvolti nell’operazione e anziché cercare di risolvere il problema, sono complici di chi lo causa.
In Europa, a spiccare negativamente tra i Paesi che più si sono sbarazzati di armi chimiche in acqua, troviamo la Gran Bretagna. I primi casi italiani di malattie derivate da tale pratica illecita, si trovano sempre in Puglia a partire dal 1946, dato che al termine della seconda guerra mondiale, servivano posti dove smaltire il possesso delle sopracitate armi chimiche. Ancora una volta, però, i documenti riguardanti i pescatori avvelenati sono soggetti a una censura militare imposta da Londra e tutt’ora vigente.
Sempre l’inchiesta di Lannes, parla di 300 mila tonnellate di veleno rilasciate nelle acque europee nel solo triennio 1945-1947. “Eppure soffia” non è solo una canzone, uno dei capolavori di Bertoli doveva essere un allarme per la popolazione italiana in primis, ma anche europea e addirittura mondiale: stiamo rovinando il posto di viviamo, ci stiamo avvelenando l’un l’altro, fermiamo questo scempio. Eppure l’acqua continua a riempirsi si schiuma e il cielo di fumi. E alla gente, pare non importare nulla, ché tanto il vento soffia ancora.
“Il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte”: è triste pensare come la genialità di Bertoli si debba riassumere in questa frase, è triste pensare come fosse già così trentotto anni fa e che oggi non sia cambiato nulla.
Mentre i nostri mari, a cui regaliamo una morte lenta, ce ne regalano con altrettanta spietatezza una rapida, dolorosa e coperta dal segreto di Stato.
di Luca Romeo