(foto fonte web)

(foto fonte web)

(foto fonte web)

(foto fonte web)
(foto fonte web)

Il 16 aprile 1973 prendeva fuoco l’abitazione del segretario del MSI Mario Mattei; dopo quattro decadi il caso è stato riaperto, ma solo grazie alla confessione dei colpevoli

Quel giovedì sera Mario Mattei spese come al solito diverso tempo nell’augurare la buonanotte alla sua famiglia, numerosa come quelle di una volta. La moglie Annamaria gli aveva regalato ben sei figli: Giampaolo (3 anni), Antonella (9), Stefano (10), Lucia (15), Silvia (19) e Virgilio (22).

Prima di addormentarsi, come ogni sera di quella settimana, Mario ricordò i fatti accaduti il giovedì precedente, che nella storia italiana verrà ricordato come il “giovedì nero”: un corteo di protesta del MSI contro la “violenza rossa” era stato bloccato poche ore prima del via, dando vita a episodi di violenza culminati nell’omicidio del poliziotto Antonio Marino, colpito da una bomba lanciata dai manifestanti.

La vendetta. Mario Mattei, che del Movimento Sociale Italiano era il segretario, si svegliò di soprassalto nel suo appartamento del quartiere di Primavalle a Roma non appena sentì odore di bruciato. La casa era già in fiamme: l’incendio era stato appiccato con della benzina, versata sotto la porta dell’appartamento da alcuni membri dell’organizzazione extraparlamentare di estrema sinistra “Potere Operaio”.

Incredibilmente, la maggior parte della famiglia riuscì a sopravvivere: la madre Annamaria e i piccoli Giampaolo e Antonella fuggirono dalla porta, Lucia si lanciò dal balconcino del secondo piano, Silvia si gettò dalla veranda della cucina e anche Mario riuscì a scamparla. Solo il figlio maggiore Virgilio e il fratellino Stefano morirono carbonizzati, non essendo riusciti a lanciarsi dalla finestra.

(foto fonte web)
(foto fonte web)

Un’azione isolata. Nonostante gli accadimenti della settimana precedente, le modalità dell’attentato hanno fatto subito pensare a un’azione estemporanea e non programmata. I vertici di “Potere Operaio” si dichiararono ignari dell’azione, nonostante sul selciato apparisse una chiara rivendicazione: “Brigata Tanas – guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI – Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria”. Con un’indagine interna, fatta con mezzi non proprio ortodossi, i capi del movimento arrivarono a capire lo svolgimento dei fatti, indicando in Marino Clavo il principale colpevole.

Le indagini delle magistratura e la svolta del 2005. La pista legata a Potere Operaio fu ovviamente la più seguita e cinque giorni dopo fu arrestato Achille Lollo, che scontò due anni di carcere preventivo. In seguito a numerosi processi vennero poi rinviati a giudizio lo stesso Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo.

Nel febbraio del 2005 l’ultima svolta: in un’intervista al Corriere della Sera, Achille Lollo ammette la propria colpevolezza e quella degli altri due indagati. La procura di Roma riapre quindi il caso, chiedendo la revisione del processo ipotizzando un reato di strage: una giustizia come al solito tardiva, tratto distintivo dello stato italiano.

di Nicola Guarneri