Come regalo per il suo 48° compleanno, un cinico e ricchissimo uomo d’affari riceve dal fratello una tessera per partecipare a un complicato e affascinante gioco di società organizzato dalla misteriosa società CRS.
A David Fincher non fa difetto l’ambizione: il suo terzo film, successivo all’exploit di “Se7en”, è un apparente thriller che maschera una labirintica riflessione sull’arte della finzione, sui metodi attraverso cui viene esercitata e soprattutto sulle reazioni che genera in coloro che si lasciano sedurre dal piacere del richiamo dell’infanzia attraverso il ritorno alla dimensione ludica.
Persino il glaciale Nicholas Van Orton è ossessionato da immagini ricorrenti del proprio passato ed è questa l’unica motivazione che lo spinge – lui che “detesta le sorprese” – a non rovesciare immediatamente il tavolo (“Non neghi che la cosa la attrae”, osserva con acutezza l’uomo della CRS).
Va da sé che l’intero apparato organizzativo della Consumer Recreation Services altro non è che la miniatura di Hollywood stessa, raffigurata da Fincher con sottile ironia apocalittica, aiutato dalla sceneggiatura (di John D. Brancato e Michael Ferris) che bene fa a non impelagarsi in puntute spiegazioni di ogni perché e percome. (Sin troppo ovvia l’osservazione che “to play” in inglese vuol dire sia “giocare” che “recitare”).
Ai giocatori, come agli spettatori, piace essere ingannati. In una versione ancora più gelida e viscida di Gordon Gekko, Michael Douglas (e il suo ottimo doppiatore italiano Oreste Rizzini) è infallibile; si fa apprezzare anche la cronenberghiana Deborah Unger.
The Game (David Fincher, 1997)
genere: Thriller
http://cinema-scope.org/
recensione di Giuseppe Pastore