Vita, opere e morte di Salvatore Giuliano, bandito di Montelepre che spadroneggiò in Sicilia nella seconda metà degli anni Quaranta, coperto e protetto dalle autorità politiche locali e non solo.
“Bisogna avere il coraggio di andare in fondo”. Una frase da titolo di giornale, buona casomai per la retorica di un’arringa da tribunale: il film di Francesco Rosi allarga sconsolatamente le braccia. Impossibilitato a fare del cinema d’inchiesta, perché siamo in Italia e chi tocca i fili muore, “Salvatore Giuliano” è una biografia in flashback che nella seconda parte – la migliore – si fa film di denuncia: non di un uomo o di un partito ma di un Paese intero, appestato da un clima di collosa omertà che soffoca e sconforta quelli che provano ad andare contro corrente.
Giuliano si vede solo da morto, è un fantasma, un’Idea attorno alla quale si scalmanano poveri cristi, pescicani e tutori della legge; è il simbolo di un sistema marcio che è vecchio come la Repubblica, battezzata il 1° maggio 1947 con l’eccidio di Portella della Ginestra (scena memorabile). Narrato in andirivieni, con tre toni diversi di bianco e nero per le parti in flashback, il ritrovamento del cadavere e il processo di Viterbo.
E non a caso uscì con la censura politica ai minori di 16 anni.
Salvatore Giuliano
(Francesco Rosi, 1962)
genere: Politico
http://cinema-scope.org/
recensione di Giuseppe Pastore