Una coppia – lui medico, lei ex cantante – americana in vacanza in Marocco rimane coinvolta in un intrigo internazionale; il rapimento del loro unico figlio li costringe a volare a Londra.
Immarcescibile classico hitchcockiano collocato proprio a metà dei suoi magnifici anni ’50; sagace, umoristico, sorprendente, ricco di invenzioni fulminanti; un gioiellino. Remake – riuscito meglio – di un suo film omonimo, girato in Inghilterra nel 1934.
Come al solito, accanto alla trama tradizionale si dipanano altre tracce e suggestioni: il ruolo quietamente predominante della bionda e rassicurante Doris Day all’interno del ménage di coppia e una silente stoccata alla religione (Edward Drayton, il “cattivo”, usa come copertura l’attività di pastore protestante).
Lo si ricorda per due scene memorabili, scandite dalla musica: i dodici minuti senza dialogo dell’attentato alla Albert Hall (il direttore d’orchestra è nient’altri che Bernard Herrmann in persona), capolavoro di montaggio, e l’esecuzione al piano di “Que sera, sera” all’ambasciata; non male anche il subitaneo epilogo. Tutto l’intreccio di spie e servizi segreti è qui, ancora più che nel successivo “North by Northwest”, un gigantesco MacGuffin per aggiornare i temi più cari al regista: l’irruzione dell’imprevisto nella vita dell’uomo comune, le sue reazioni, le reazioni del pubblico che in lui si rispecchia.
Obiettivo riuscito, naturalmente.
L’uomo che sapeva troppo
(Alfred Hitchcock, 1956)
genere: Thriller
http://cinema-scope.org/
recensione di Giuseppe Pastore