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La parola biomolecola racchiude in sé il concetto di vita. L’esperimento di Pasteur fu la prova schiacciante che la materia vivente per generarsi richiede un’altra forma di vita, non si può generare vita in maniera spontanea a partire da materia inorganica; da questo studio furono per la prima volta identificati composti chimici in grado di generare la materia vivente, ai quali fu assegnato il nome di biomolecole.

Oggi sono ben definite le caratteristiche essenziali delle biomolecole che costituiscono gli esseri viventi: si tratta di sostanze organiche costituite solitamente da carbonio ed idrogeno, ma possono comprendere anche altri elementi quali azoto, ossigeno, fosforo e zolfo. L’unione in maniera coordinata e definita di questi elementi genera classi di molecole quali le proteine, i glucidi, i lipidi e gli acidi nucleici che costituiscono tutti gli organismi a partire dai più semplici come i batteri, a quelli più complessi come l’uomo.

L’organizzazione delle biomolecole all’interno degli organismi viventi ha da sempre attratto le diverse discipline scientifiche, ma solo recentemente alcuni settori della ricerca si sono particolarmente interessati a studiare il modo con cui gli atomi interagiscono tra di loro per determinare le biomolecole, per partire da questa esempio e creare dispositivi complessi nell’ambito della medicina, dell’ambiente ma soprattutto nel settore delle nanotecnologie.

Solitamente quando si sceglie di costruire grandi strutture che seguono un’organizzazione che ricorda quella delle piccole molecole, si sceglie un approccio identificato come bottom up, in cui si sfrutta la tendenza delle piccole molecole di legarsi definendo una struttura molecolare ordinata, sulla base delle interazione molecolari tra le particelle che rendono solidi questi legami.

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Tali tecniche hanno suscitato l’interesse dei ricercatori negli ultimi decenni grazie alla possibilità che esse offrono d’ingegnerizzare i materiali, poiché consentono di disporre ben definiti gruppi molecolari a precise distanze gli uni dagli altri, assemblandoli in architetture altamente ordinate. L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), opera nell’ambito di varie discipline scientifiche ma ha un ruolo importante nel settore della robotica e delle nanotecnologie producendo per esempio nanoparticelle multifunzionali applicabili alla diagnostica, al rilascio farmacologico e alla terapia mirata di malattie importanti, e dispositivi di monitoraggio della salute umana.

Nel 2003 l’IIT è partito da un approccio di tipo bottom up per generare James, un piccolo robot umanoide di 75 chili di metallo e circuiti, nato per studiare i meccanismi che regolano la manipolazione e la presa degli oggetti. Nel 2010 James è stato sostituito da una versione robotica più complessa, iCub, un robot in grado di mostrare ben 53 diversi gradi di libertà nel movimento delle braccia e delle mani per manipolare gli oggetti, possiede un fine senso dell’equilibrio ed è in grado di apprendere dal comportamento umano, diventando intelligente.

iCub rappresenta soltanto uno degli esempi realizzati, basandosi sul modello delle interazioni tra le biomolecole negli organismi viventi, esistono molti altri dispositivi in ambito medico o in ambito delle biotecnologie, o della protezione dell’ambiente che sono costruiti con tali approcci.

Così come nella vita, anche nella ricerca si può sempre imparare a partire dalle cose più semplici.

di Alessia De Felice