Un detective in pensione indaga in privato sulla moglie di un suo amico, affetta da turbe psichiche che la spingono a rivivere il passato di una sua antenata morta suicida settant’anni prima.
Dal romanzo di Pierre Boileau e Robert Narcejac “D’entre les morts”. Per molti, il capolavoro mancato di Alfred Hitchcock; sicuramente, a suo modo, uno dei suoi film più grandi, imperfetti e “malati”. Melodramma contemplativo che nella seconda parte assume una malsanità obiettivamente senza pari, e rappresenta il tentativo più ardito del regista di uscire dal seminato e dagli schemi di regista da thriller commerciali.
Foce senza dighe di tutte le perversioni di Hitchcock, anche e soprattutto sessuali; indiscutibile la carica erotica delle schermaglie tra Scottie e Madeleine/Judy. A causa della ben nota preferenza, da parte di Hitch, della suspence sull’effetto sorpresa, nell’adattamento de “La donna che visse due volte” si trova (parere personale) un grave errore, forse il più grave della sua intera filmografia: lo sciagurato flashback rivelatore che a mezz’ora dalla fine depotenzia enormemente gran parte delle scene che seguono, compreso il finale raggelante e – questo sì – indimenticabilmente noir.
Ma non possono passare sotto traccia i meriti e i pregi del film, primo tra tutti l’aver preso una Kim Novak che per tutto il film non palesa mai alcuna capacità recitativa, e nonostante ciò averle confezionato addosso un personaggio memorabile. E poi ancora: la geniale rappresentazione della vertigine (carrello indietro più zoom avanti), utilizzata ancora oggi; l’incubo policromatico addirittura con pionieristici inserti animati (!); i titoli di Saul Bass; le sequenze dei pedinamenti, lunghe oltre ogni convenzione, in cui la musica di Herrmann – ispirata a “Tristano e Isotta” di Wagner – si fa terzo personaggio.
Incompreso, fu un mezzo flop per critica e pubblico.
La donna che visse due volte
(Alfred Hitchcock, 1958)
genere: Thriller
http://cinema-scope.org/
recensione di Giuseppe Pastore