L’ingegnere Thomas Crawford spara alla sua giovane e bella moglie dopo aver scoperto la di lei relazione con un detective della polizia. Immediatamente si autoaccusa del delitto e rifiuta di farsi difendere nel processo. Sembra un caso facilissimo per il rampante avvocato dell’accusa Willy Beachum, in procinto di trasferirsi presso un potente studio legale. Sembra.
Sesto film del solido texano Gregory Hoblit, specializzato in thriller di varie foggie, tutti più o meno collocati su un apprezzabile livello medio (la sua perla è “Il tocco del male”, sulfureo poliziesco del 1998 con Denzel Washington, tra le pellicole più sottovalutate del decennio nella sua categoria).
Qui la materia è squisitamente legale, e come tale viene sviluppata alla maniera dei caposaldi del genere tribunalizio: c’è un avvocato yuppie e stronzetto (copia carbone, solo un po’ più giovane, del personaggio di Richard Gere in “Schegge di paura”, sempre Hoblit, 1996; i calciofili apprezzeranno la notevole somiglianza tra il promettente Ryan Gosling e Daniele De Rossi), c’è un lestofante sardonico e brillantissimo ch’è un ruolo su misura per Anthony Hopkins (che infatti assolve il compito alla perfezione); c’è una sceneggiatura (di Daniel Pyne e Glenn Gers) elegante e misurata il giusto, con tocchi di black humour tutti riservati al nostro Hopkins versione Hannibal, finalizzata quasi esclusivamente al colpo di scena conclusivo, neanche così clamoroso e geniale come la réclame farebbe intendere.
Ben fatto e ben confezionato, senza orpelli e deviazioni Kitsch che blocchino il flusso della narrazione. Il titolo americano, “Fracture”, fa riferimento alla professione del personaggio di Hopkins, che è ingegnere specializzato in meccanica della frattura e nella versione originale si chiama Ted e non Thomas; il titolo italiano (non) si spiega forse per un’affinità con “Il caso Thomas Crown”, 1968, di Norman Jewison, con Steve McQueen; fosse davvero così, sarebbe puro distillato d’idiozia.
Il caso Thomas Crawford
(Gregory Hoblit, 2007)
genere: Thriller
http://cinema-scope.org/
recensione di Giuseppe Pastore