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Recentemente la super inchiesta condotta dai reporter dell’Icij (international consortium of investigative journalist) ha portato alla luce dati non poco preoccupanti. Il 24 febbraio 2013 gli agenti della polizia ucraina, perquisendo un piccolo minibus bianco malconcio, portano a galla importanti prove di un mondo avvolto nell’ombra e di cui non molti conoscono l’esistenza.

Resti umani e ossei stipati come conserve casalinghe in piccoli frigoriferi. L’illeceità della faccenda diventa sempre più concreta quando tra la carne appaiano inverosimili autopsie scritte in inglese e buste intrise di sangue da cui fuoriescono banconote dalla provenienza misteriosa. I Documenti analizzati dagli esperti riconducono i resti a cadaveri ucraini destinati a fabbriche tedesche in Germania che operano per un colosso farmaceutico americano, la Rti biologics, con sede in florida.

Ebbene sì, stiamo parlando di traffico di parti umane come ricambi per automobili. La suddetta ditta è specializzata nella trasformazione di parti umane utilizzate in seguito per impianti dentali, ricostruzioni tendinee, sviluppo di creme anti-età; un mercato che rapidamente sta acquistando vigore nel commercio mondiale e come ogni crescita abnorme porta con sé lo strascico delle preoccupazioni di chi si occupa del fenomeno analizzandolo.

Le domande più incalzanti riguardano ovviamente i processi con cui si ottengono i prodotti e soprattutto la regolarità di ogni passaggio della catena, a partire dall’informativa alle famiglie degli estinti. In dieci anni i ricavi ottenuti dalla vendita di prodotti realizzati dalla lavorazione di tessuti umani sono raddoppiati, solo negli Stati Uniti è possibile piazzare due milioni di prodotti l’anno.

E’ vero, grazie al progresso oggi è possibile riuscire a ridare la vista a chi non ha mai guardato il mare, o far camminare chi per anni è stato costretto sopra un letto d’ospedale o una sedia a rotelle, ma questo mercato dei cadaveri è sempre imperniato su principi di legalità? Purtroppo, anche qui, si trovano immense zone d’ombra. Il sistema basato su rigidi controlli atti a verificare che tutti i tessuti utilizzati siano raccolti secondo principi etici e legali fa acqua da tutte le parti.

Le autorità americane, ma anche di molti altri paesi, non sono effettivamente in grado di garantire con certezza la provenienza esatta dei tessuti e la loro destinazione d’uso definitiva. Uno dei problemi principali dei sistemi di controllo sembra essere la complessità e la riservatezza delle pratiche doganali che regolano il trasporto di resti umani. Immaginate che la Slovacchia esporti pezzi di cadavere in Germania; la Germania esporta prodotti finiti in Corea del Sud e Stati Uniti; La Corea del Sud a sua volta esporta in Messico.

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Ci sono distributori in tutto il mondo e come recentemente dichiarato da Martin Zizi, professore di neurofisiologia all’università libera di Bruxelles “Se compro qualcosa in Ruanda e poi gli metto un’etichetta belga, posso facilmente importare negli Stati Uniti. Quando entri nel sistema tutti si fidano di te, si da per scontato che quel corpo o quei resti abbiano passato il controllo di qualità. Siamo più attenti a frutta e verdura che ai resti umani”. In quasi ogni parte del mondo è assolutamente vietato la compravendita di tessuti umani, ma paradossalmente in alcuni di questi è legale pagare per trovarli.

Esiste guadagno per ogni individuo operante nelle varie fasi della catena. In America un procacciatore di cadaveri riceve fino a 10 mila dollari per ogni corpo segnalato. Un aiuto non da poco può essere dato dalle agenzie funebri che possono identificare potenziali donatori o dagli ospedali pubblici che ricevono denaro per avere in cambio l’accesso alle strutture di raccolta dei campioni. Nel 2012 la Rti ha guadagnato 16,9 milioni di dollari netti su un fatturato di 169 milioni. I controlli effettuati dalla Fda (food and drug Administration), la stessa agenzia che si occupa di cibo farmaci e cosmetici, possono riguardare l’ispezione delle banche dati delle ditte e ordinarne lì dove sia necessaria la chiusura.

Sullo scalino più alto l’Aatab (American Association of tissue Banks) che sostiene fermamente l’irrisorietà dei rischi di possibili traffici illeciti o di contaminazione dei prodotti accuratamente esaminati, poi sterilizzati e conservati. Diversamente la cronaca racconta di un maxi-sequestro operato dalla Fda nel 2005 a carico della Biomedical tissue service di Michael Mastromarino. L’ex dentista si procurava tessuti grazie a becchini americani pagando sottobanco fino a mille dollari a cadavere.

Da notare che delle 34 aziende straniere registrate presso la Fda solo il sette per cento ha subito un’ispezione, nessuna chiusa per attività illecite. “Tutto quello che devi fare in caso di controlli da parte della Fda è riempire dei moduli e aspettare l’ispezione” dice Duke Kasprisin direttore medico di sette banche tessutali americane. “Questo vuol dire che per un anno o due puoi lavorare senza controlli”.

Emblematica la situazione in Corea del Sud in cui tutto il settore della chirurgia plastica usa i controlli (fantasma) della Fda come garanzia di qualità, anche se contestualmente Do- Han, agente della Fda sudcoreana, afferma senza mezzi termini che quasi il 90% dei tessuti usati sono importati dall’estero. Nel 1998 la Rti si stacca dalla banca di tessuti no profit dell’University of Florida e dal 1999 collabora attivamente con l’azienda tedesca Tutogen procurandosi materiale direttamente dall’Europa dell’est, Estonia, Lettonia, Slovacchia ecc.

Nei primi del 2003 la polizia lettone scopre che la Tutogen ha prelevato 400 corpi da un ospedale giudiziario senza le autorizzazioni necessarie, alcune persone furono arrestate e in seguito scagionate, riuscendo a provare che in quei casi non era obbligatorio il consenso delle famiglie dei donatori. Nel 2007 Tutogen e Rti si fondono ufficialmente, nel 2008 una nuova indagine investigativa porta a galla un commercio illegale di migliaia di tessuti al mese recuperati nuovamente da ospedali giudiziari.

Nel 2011 la Fda chiede a Rti i di cambiare il metodo di etichettatura dei propri prodotti (che sono acquistati in Ucraina, spediti in Germania a Tutogen che li reimporta in America come prodotti tedeschi). Kateryna Rahulina, figlia di Olha Dynnyk, morta nel settembre 2011, ha visto con i propri occhi i documenti raccolti dalla polizia, questi mostravano un suo assenso scritto per l’asportazione del corpo della madre; la ragazza non aveva mai firmato nulla, ogni singolo documento era stato falsificato. Ad oggi il mercato nero marcia silenziosamente, una minaccia viva difficile da arginare.

Dovrebbe essere una priorità elaborare un sistema di controllo efficiente, eppure non si capisce ancora quale sia il vero interesse che s’intende tutelare.

di Alberto Bonomo