In un paesino vicino Palermo vengono trovati morti due stimati professionisti, un medico e un farmacista. Un professore indaga sull’accaduto.
Dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia; prima collaborazione tra Elio Petri e Gianmaria Volonté. Il film è amarissimo nel raccontare l’avvilente oggigiorno di una terra disgraziata, umiliata e offesa, popolata di mezzi figuri che hanno scelto di diventare ombre (si veda lo splendido finale) per essere al riparo da qualsiasi impulso verso la verità.
I luoghi comuni sulla Sicilia sono duri a morire e col tempo, anche a causa della fattiva collaborazione dei suoi stessi abitanti, hanno preso le sembianze di granitici dati di fatto: chi, nonostante tutto, conservasse ancora la voglia di lottare provi a far vedere questo film a quanta più gente possibile.
La lezione di Sciascia, che dell’opera di Petri è il padre putativo, ammonisce l’isola da ormai quarantadue anni, perché non è questione di mafia (mai nominata nel film nonostante se ne senta costantemente il puzzo), di uomini d’onore o di delitti qualsiasi: ciò che strangola la Sicilia e la uccide per asfissia è la sua indifferenza, la sua latente ignoranza, l’orrenda pulsione a voltare la testa dall’altra parte per continuare ad accettare la sua immutabile insicurezza.
Il personaggio di Volonté, al primo ruolo maturo dopo i successi di cassetta con Sergio Leone, è il simbolo per antonomasia della crisi e della solitudine dell’intellettuale di sinistra, perso nei suoi libri ed ormai alieno, suo malgrado, dal contesto sociale e culturale nel quale gli è difficile soltanto concepire l’integrazione.
Premio a Cannes 1967 per la miglior sceneggiatura.
A ciascuno il suo
(Elio Petri, 1967)
genere: Politico
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recensione di Giuseppe Pastore