(foto fonte web)

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«Viaggiare non dovrebbe fare notizia in nessun luogo del mondo, ma l’anomala situazione migratoria che i cubani hanno vissuto per decine di anni ha reso il superamento dei confini nazionali un titolo da prima pagina». Così parlò Yoani Sanchez, giornalista e scrittrice nata a L’Avana e divenuta celebre negli ultimi anni per le notizie anti-regime pubblicate sul suo blog Generación Y.

I suoi scritti sono formati da racconti di vita quotidiana catturati dalla realtà sotto gli occhi della donna, oggi trentottenne, che si è fatta notare dalle autorità del suo Paese fin dalla nascita del blog, nel 2007, per i contenuti ostili alla dittatura castrista e favorevoli al miglioramento dei diritti umani per gli abitanti dell’isola.

Generación Y si diffonde rapidamente a Cuba – prima che venga oscurato dal regime – e molto presto fa il giro del mondo grazie alla traduzione in ventuno lingue diverse e diventa un punto di riferimento per chi vuole informarsi sulla società cubana senza passare per i media ufficiali. Di conseguenza, la stessa Sanchez diventa il simbolo del giornalismo dissidente all’interno del regime e la sua popolarità arriva alle stelle.

In Italia è il quotidiano La Stampa a occuparsi della traduzione dei suoi racconti, con una sezione dell’edizione online chiamata appunto Generazione Y, mentre la scrittrice trova asilo “giornalistico” su alcune testate anche di spicco come The Huffington Post e Internazionale.

Se da una parte viene esaltata l’immagine della blogger rivoluzionaria senza macchia e senza paura, dall’altra – com’è prassi in questi casi – si moltiplicano le accuse mediatiche alla blogger, indicata da molti come una finta dissidente finanziata dagli Stati Uniti con l’obiettivo di rovesciare il regime castrista ottenendo seguito dal basso.

Nel 2008, alla Sanchez viene proibito di lasciare l’isola – come agli altri “dissidenti politici”, fino alla storica apertura dello scorso gennaio, quando il nuovo presidente Raul Castro (fratello di Fidel, che ha lasciato il potere in seguito a una grave malattia) ha eliminato molte limitazioni per l’emigrazione dei cittadini cubani. Tra queste, è stato abolito il divieto di espatrio per i dissidenti politici.

(foto fonte web)
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«Sto già preparando la valigia – scrive lei il 13 gennaio, all’indomani della promulgazione della legge – mi dico che sarà possibile, che mi lasceranno viaggiare. Forse è solo un pensiero ottimistico, tra pochi mesi lo saprò». Effettivamente passa solo un mese e la blogger riesce a ottenere un passaporto e a imbarcarsi per il Brasile.

Dall’Italia – oltre al diario fornito da La Stampa – arriva il plauso entusiasta di diversi giornalisti e intellettuali, uno su tutti Roberto Saviano, che dal social network twitter scrive: «Dopo anni riesce a ottenere il permesso di uscire da Cuba. Yoani Sanchez ti sto aspettando».

Lo scrittore di Gomorra non dovrà aspettare molto per incontrare la collega latinoamericana, la quale è tutt’ora in viaggio per un grande tour mondiale che – secondo La Stampa – dovrebbe portarla in Italia già per il mese di aprile.

«Perché la libertà di viaggiare diventa una notizia? – scrive la giornalista il giorno dell’arrivo in Brasile – per colpa di un assurdo sistema migratorio durato decenni».

La scorsa settimana è iniziato, dunque, un viaggio, quello di una dissidente – o presunta tale – non ancora famosa in Italia come già nel resto del mondo. C’è da credere che il suono della sua voce e la forza delle sue parole non tarderanno a dare uno scossone anche nel nostro Paese, che dopo quasi un secolo dall’inizio di un regime dittatoriale, fa fatica a conservare la memoria storica di quel regime e che poco conosce dei dispotismi tutt’ora esistenti nel mondo.

Yoani Sanchez, che sia in buona o in cattiva fede, ci ha parlato di Cuba e ci ha presentato un lato di Cuba che non avremmo mai potuto conoscere e già questo rende interessanti e importanti i suoi scritti.

Al suo arrivo in Brasile martedì scorso, è stata accolta da abbracci e insulti: «Un bagno di democrazia e pluralità» ha commentato. Vediamo come risponderà l’Italia: a giudicare dal bassissimo coinvolgimento mediatico, il rischio concreto è quello di accoglierla con un desolante bagno di indifferenza disinformata.

di Luca Romeo