Nel primo periodo di espansione territoriale, alla prese con diverse guerre, la faida tra i due popoli fu risolta con ingegno da un giovane aristocratico romano
I primi anni di quello che sarebbe diventato l’Impero Romano sono ricchi di leggende più o meno veritiere. Dalla fondazione di Roma nel 752 a.C. e dalla leggenda di Romolo e Remo passa diverso tempo prima di incappare nella storia di Muzio Scevola. Siamo nel corso del terzo secolo di vita di Roma (la leggenda parla dell’anno 508 a.C.) e la situazione dei Romani è quantomeno problematica.
In questi anni il lucumone etrusco Porsenna lancia un assedio verso Roma: la futura capita d’Italia era in una fase di transizione verso la Repubblica e Porsenna intervenne in aiuto del Re Taquinio il Superbo, di origini etrusche, che era appena stato allontanato dal trono.
Dopo diverso tempo dall’inizio del conflitto l’assedio non accenna a terminare e all’interno della città iniziano a mancare i viveri; quando la caduta sembra certa, un giovane aristocratico romano, tale Muzio Cordo, propone al Senato di uccidere Porsenna. Ottenuta l’autorizzazione il giovane si infiltra tra le linee nemiche e grazie alle sue origini etrusche e alla conoscenza della lingua riesce ad arrivare fino alla tenda di Porsenna.
Armato di pugnale, si nasconde nell’accampamento fino a quanto il re etrusco non resta solo e sferra l’attacco uccidendolo: solo dopo averlo pugnalato a morte si accorge di aver commesso uno scambio di persona. La vittima di Muzio Cordo altri non è che un umile scriba. Le urla del malcapitato attirano le guardie e il giovane romano viene portato al cospetto del vero re etrusco.
Quando Porsenna gli chiede le ragioni del suo gesto egli non si nasconde, ammettendo il proprio piano: «Volevo uccidere te. Ho sbagliato, e ora punisco la mia mano per il mio errore». Proferendo queste parole mette la propria mano su un braciere acceso fino a quando il fuoco non brucia tutta l’estremità dell’arto destro, lasciandolo menomato e con un nuovo soprannome (Scevola, appunto).
Porsenna, impressionato dalla lealtà e dai valori del giovane, decide di liberarlo; con astuzia Scevola ribalta la situazione a proprio favore, avvertendo il re di un finto piano per metterlo fuori dai giochi: «Per ringraziarti della tua misericordia voglio rivelarti che trecento giovani romani hanno solennemente giurato di ucciderti. Io sono solo primo della lista, uno degli altri duecentonovantanove riuscirà nell’intento».
Spaventato dalla determinazione e dal valore del popolo romano, Porsenna e gli aristocratici etruschi privilegiano la salvaguardia del proprio lucumone al destino della dinastia dei Tarquini e intavolano una trattativa di pace.
di Nicola Guarneri