Finalmente dopo una lunga attesa il responso dei giudici inglesi sulla possibile estradizione di Daniele Restivo è arrivato: in occasione del processo di secondo grado per l’uccisione di Elisa Claps, l’uomo già condannato in primo grado a trent’anni, potrà essere presente nell’aula di tribunale in cui sarà emesso il verdetto. Non serve sottolineare che si tratta esclusivamente di un’autorizzazione temporanea; dopo la lettura del dispositivo della sentenza, Restivo farà rientro in Inghilterra per continuare a scontare un’ulteriore condanna a 40 anni di carcere a seguito dell’uccisione di una vicina di casa, Heather Barnett, avvenuta nell’abitazione della donna il 12 novembre 2002.
Finalmente faccia a faccia con i giudici italiani, Restivo avrà la possibilità di difendersi dalle accuse mosse a suo carico, fornendo per l’ennesima volta la sua versione dei fatti, una ricostruzione in cui risulta assolutamente estraneo ai tragici eventi. Il primo grado di giudizio fu un processo breve in cui le vicende processuali furono caratterizzate dall’assenza dell’imputato in aula; questa volta no, le cose non andranno cosi e il 20 marzo 2013 assistito dal proprio difensore, Alfredo Bargi, Danilo presenzierà innanzi la Corte d’Appello di Salerno.
La decisione dei giudici inglesi dunque garantirà per un verso la tutela delle garanzie di un giusto processo, la presenza in aula dell’imputato e la possibilità di difendersi; per un altro invece, dopo tanti anni, i familiari di Elisa Claps avranno la possibilità di poter guardare dritto negl’occhi quell’uomo che presumibilmente ha portato tanta sofferenza nelle loro vite. Forse otterranno risposte a domanda invecchiate dolorosamente nelle loro menti. L’avvocato di famiglia Giuliana Scarpetta poco dopo l’ufficialità dell’estradizione dichiarerà: «Tranquilla della condanna ai 30 anni: non ci sono altre vie, Restivo deve pagare per questo atroce delitto».
Tutti gridano verità per Elisa ma la voce più forte, quella che supera tribunali e confini transnazionali, è di Filomena Claps, mamma della giovane vittima. La soddisfazione per la prima sentenza di condanna a trent’anni emessa dal Gup di Salerno Elisabetta Boccassini è tanta, anche se la donna lancia un appello per smuovere le coscienze di chi sa però tace. Dopo tanti anni il bisogno viscerale che sia fatta luce su questo brutale omicidio è ancora forte. «Chi sa ora si pulisca la coscienza». Elisa, giovane sedicenne, scompare a Potenza il 12 settembre 1993 dopo il presunto incontro con Danilo Restivo all’interno della Chiesa della S.S. Trinità.
Ad oggi, nella presunta ricostruzione Danilo tornò a casa con il soprabito sporco di sangue e delle evidenti escoriazioni alla mano. L’uomo nonostante la condanna ha continuato nel tempo a professarsi innocente. Dopo il ritrovamento dei resti della ragazza nel sottotetto della chiesa davanti la quale avvenne l’incontro, gli accertamenti medico legali sono riusciti nonostante il trascorrere degli anni, a indentificare la causa della morte in una serie di fendenti mortali prodotti da un’arma da taglio; gli abiti di Elisa erano inoltre contaminati dal DNA di Danilo.
Si dice che in questa storia l’esecutore materiale, sia lo stesso Restivo ma che la morte di Elisa sia stata resa ancor più amara dall’omertà di chi sapeva ma non ha parlato. La morte di un figlio è un evento che di per se difficilmente si supera, qualcosa che sconvolge il normale schema degli eventi naturali; la morte violenta di un figlio, senza un perché, senza una mano colpevole, senza verità è invece un dolore che purtroppo non si placa neanche con la vendetta. Filomena conclude dicendo: «Sono cristiana, cattolica, ma non lo perdonerò mai e chiedo proprio a Restivo di raccontare ora come si sono svolti realmente i fatti: Prendi carta e penna e scrivi la verità, dimmi finalmente la verità».
di Alberto Bonomo