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La notizia giunta ieri 11 febbraio, poco prima delle 12.00, ha indubbiamente scioccato il mondo.

Papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, rinuncia alla guida pastorale della Chiesa cattolica per cedere il passo a “nuove energie” in grado di far fronte ai grandi temi imposti dalla società contemporanea. In Europa incombono le nozze civili fra persone dello stesso sesso, chiara sconfitta morale alle insistenti richieste della Chiesa a impedirle nel nome della “difesa della famiglia tradizionale”. Ovviamente l’incalzare delle nozze gay non giustifica una stanchezza “spirituale” di Ratzinger. Allora, si penserà, è solo un problema di stanchezza fisica. Si, senza alcun dubbio, ma c’è anche dell’altro.

Il primo tassello del puzzle

Non è probabilmente il timore di una incapacità fisica a preoccupare Benedetto XVI quanto una logorante lotta per la gestione delle finanze del Vaticano.

Stiamo parlando del celebre Ior (Istituto opere religiose), portafoglio del Papa e protagonista di una lunga stagione della finanza mondiale, cominciata dalle partecipazioni societarie del Vaticano (primi anni ’50) fino all’intervento occulto con finanziamenti alle forze d’opposizione al passato regime sovietico e partiti satellite (ma lo Ior non è l’unico coinvolto). Ci si chiederà cosa c’entra tutto ciò con le dimissioni di Ratzinger.

Nel 2005

Negli ultimi anni di pontificato, Giovanni Paolo II non partecipa direttamente alle dinamiche economico-finanziarie di riassetto delle finanze cattoliche (come nel 1997 la fusione fra Cariplo e Ambroveneto). E’ il momento nel quale si decidono le nomine per i posti rimasti vacanti nelle principali società di riferimento; è anche il momento nel quale si decide che la riservatezza deve essere protratta perché è l’unica garanzia che distingue lo Ior dalle altre banche.

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Quando nel 2005 viene eletto Joseph Ratzinger avviene il cambio di guardia. Coloro che avevano gestito lo Ior durante il pontificato di Wojtyla vedono un cambio di potere epocale. I cosiddetti “Ratzi-banker” (espressione usata da “Milano finanza” nel 2008 riferendosi a laici e religiosi vicini a Ratzinger) si insediano nei 5 uffici che controllano le attività finanziarie della Santa Sede (Governatorato, Amministrazione, Congregazione, Prefettura e Ior). Il risultato è una gestione piena del potere finanziario dello Stato più ricco al mondo. Il che vuol dire soldi che finiscono a Fondazioni, organizzazioni, partiti politici e associazioni sparsi in ogni parte del globo. Il destino di molte elargizioni dipende dalla rete di rapporti e gruppi di cui si è parte (vedi l’Opus dei, Comunione e Liberazione, ecc.).

La svolta del 2012

Ma ancora: cosa c’entra tutto ciò con le dimissioni di ieri? Nel 2012 ecco la svolta. L’idea di Ratzinger di una finanza meno complessa e più sorvegliata (è sotto il suo pontificato che si firmano accordi per la prima volta per un maggiore controllo bancario), lo smantellamento di gruppi di potere e soprattutto la posizione anti-interventista nel salvataggio del polo medico cattolico, il San Raffaele (afflitto da un buco di miliardi), creano una frattura insanabile a tal punto che agli inizi del 2012 fuoriescono veline e documenti riservati del Vaticano, tutti nella logica di destabilizzare il potere attorno al Pontefice (e con lui Scola e Tettamanzi in primis) e favorire le scelte interviste sostenute dal Segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Ne va il futuro della sopravvivenza del potere cattolico nel mondo.

Da un lato la lotta interna al Vaticano continua ad oltranza per la gestione delle strategie finanziarie della Santa Sede, dall’altro c’è un Pontefice sempre più anziano e sempre meno in grado di gestire le battaglie che si susseguono.

Armageddon

Ecco allora l’epilogo, l’11 febbraio 2013, laddove Ratzinger sceglie di lasciare una lotta non più sostenibile per il peso dell’età e per il logoramento spirituale di chi lo attacca da mesi.

La rinuncia deve avere i connotati di un “attacco a sorpresa”. E prima dell’addio accresce il potere del proprio segretario particolare, padre Georg Ganswein, che nemmeno passa per la nomina di Vescovo ma direttamente ad Arcivescovo. Della serie “non c’è più tempo”. E infatti tempo non ce ne sarà più.

Il Papa è stanco delle troppe lotte, ad un’età dove si è vicini a rendere conto a Dio. Meglio far si che “nuove energie” facciano fronte agli impegni urgenti della Chiesa; evitare che quei fondi finiscano per finanziare attività come all’epoca di Marcinkus, fatta di rapporti equivoci e provenienze talvolta illecite di danaro. In ballo c’è molto di più: la credibilità di una Chiesa cattolica già fin troppo ferita.

Il 28 febbraio Benedetto XVI lascerà dunque il gravoso compito papale. Prima di Pasqua sapremo il nome del nuovo Pontefice e allora sapremo chi avrà vinto la lunga battaglia economico-finanziaria fra le mura della Santa Sede: una finanza volta a una trasparenza maggiore che accetta controlli o una finanza che segue strategie interventiste che ricordano momenti bui ancora troppo recenti?

di Pasquale Ragone