Al centro di accesi dibattiti etico-legali, da anni, vi è l’uso della cannabis a scopo terapeutico, soprattutto sul piano scientifico. Un passo in avanti, verso la libera fruizione della “miracolosa” pianta e verso la conseguente depenalizzazione della stessa, è stato fatto in Olanda, Spagna, Canada e in sedici Stati degli USA, i quali ne consentono l’uso strumentale.
In Italia il Ministero della Salute, con il Decreto del 18 aprile 2007, ha aggiornato le tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope ponendo, nella sezione delle sostanze dotate di proprietà terapeutiche, alcuni derivati della cannabis ed introducendo di fatto un “nuovo” strumento di cura, su prescrizione medica, la cui produzione però è penalmente punita.
Cosa occorre fare, quindi, per ottenere il “farmaco” senza essere perseguiti dalla Legge?
È necessario che un medico faccia richiesta, alla Asl competente, specificando che le alternative terapeutiche risultano inadeguate; a sua volta la Asl chiederà autorizzazione all’Ufficio Centrale Stupefacenti del Ministero. Si tratta, quindi, di un procedimento burocraticamente articolato che ritarda l’assunzione del costoso “farmaco” e che obbliga, spesso, ad affidarsi al mercato nero per acquistarlo, facilmente e in breve tempo.
Infatti in un’Italia l’uso di marjuana è reato. Lucia e Andrea, giovani affetti da sclerosi multipla che nel proprio cassetto non custodiscono “droga” ma il sogno di utilizzare la cannabis a scopi terapeutici, hanno la quasi certezza che questa possa aiutarli a stare meglio siccome usano quotidianamente un farmaco a base di infiorescenze della stessa pianta proveniente dall’Olanda: il Bedrocan, prescrivibile in Puglia per via di una delibera della Regione che consente alle farmacie ospedaliere di ricevere il medicinale.
Vivere dignitosamente, lenire le proprie sofferenze e quelle di tutti malati attraverso l’uso della “terapia rivoluzionaria”, sono i motivi che spingono i due giovani a promuovere l’iniziativa “Cannabis social club”, presentata a Racale, nel Salento, lo scorso 29 gennaio. L’idea dell’associazione “Lapiantiamo”, di cui Lucia Spiri e Andrea Trisciuoglio sono rispettivamente presidente e segretario, è quella di garantire agli ammalati un luogo dove coltivare la cannabis di cui hanno bisogno, attraverso normative che ne controllino la produzione. Il progetto, presentato nella sede del Comune salentino, prevede l’organizzazione di una coltivazione collettiva di cannabis per il consumo privato dei soli membri del club, i quali avranno l’obbligo di certificare la malattia da cui sono affetti e per la quale l’uso della pianta è indicato.
Non tutti sono però dello stesso avviso circa gli effetti benefici. La preoccupazione principale è l’uso strumentale del farmaco per finalità che nulla hanno a che vedere con terapie di diverso genere. Al contrario si favorirebbe, attraverso la seppur privata coltivazione, la circolazione della cosiddetta “droga leggera” anche per scopi ricreativi, facilitando il rischio di dipendenza con tutti gli effetti collaterali che comporta per sé e per gli altri cittadini.
«Non vogliamo – spiega Ivana De Leo, avvocato dell’associazione – la legalizzazione della droga, ma che la canapa sia riconosciuta come terapia. “Lapiantiamo” non ha scopi ludici, come molti credono, ma è al fianco di tutti i malati che vorrebbero accedere nel modo più semplice al farmaco». Al di là delle singole posizioni, la difficile materia esige un dibattito serio e forse i tempi sono ormai maturi per una valutazione oggettiva della problematica.
di Annalisa Ianne