Basta sfogliare una qualsiasi rivista o quotidiano, prestare attenzione ai telegiornali o ascoltare in radio le ultimissime, che ci si trova dinnanzi a panorami vittimologici terrificanti e agghiaccianti, in cui l’offender pur di gratificare il proprio ego, o per soddisfare le personali pulsioni, o ancora sfogando paranoie, gelosie e disturbi psicotici, attraverso l’uso della violenza prende possesso della sua futura preda, adottando comportamenti a sfondo terroristico, psicologico o fisico, a seconda della scelta propedeuticamente meditata.
Parliamo dell’argomento con il prof. Andrea Feltri , ritenuto uno dei maggiori esperti in materia, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e criminologo di fama internazionale, operante in teatri di conflitto domestico e urbano, sempre in prima fila in termine di prevenzione e lotta alla criminalità, micro e macro.
Indubbiamente quella della vittima per molti anni è stata ritenuta una figura passiva nel dibattimento giudiziario, in quanto indifesa e disarmata dinnanzi al potere devastante e diabolico del carnefice. Ultimamente però, si sta rivalutando il suo ruolo, ricostruendo le relazioni che questa ha avuto con l’autore del crimine e l’approccio scatenante lo scenario delittuoso, che nella maggior parte dei casi è dovuto a una comunicazione incivile, criptata o ingiuriosa , determinante nella dinamica dei fatti. Con ciò però non è giustificabile in alcun modo l’epilogo, che pone l’accento sull’assenza di proporzionalità tra offesa e difesa.
Da qui partiamo allora con le domande al professor Feltri, per cercare di capirne di più, svelando quei tabù sepolti da tempo.
La vittima sacrificale
– Dr Feltri cosa si intende per “vittima del reato” ?
René Girard, noto antropologo francese, nella sua opera letteraria ‘’La violenza e il sacro’’ del 1972, espone il meccanismo di capro espiatorio o meccanismo vittimario, con il quale sosteneva che nelle società primitive le rivalità all’interno dei gruppi umani ingeneravano situazioni di violenza che venivano risolte con l’uccisione del soggetto ritenuto responsabile della stessa.
Così, con la morte del cosiddetto capro espiatorio la violenza veniva meno e la vittima diveniva sacra. ” Vittima del reato” deriva dal latino victima, di etimologia incerta, forse etrusca, termine usato nell’antichità per indicare espressamente l’animale (o la persona) – immolato agli Dei nel corso del rito sacrificale. Inizialmente, la stessa criminologia tralasciava di occuparsi della figura della vittima e solo intorno agli anni ’50, in seguito ad un articolo di Hans Von Hentig, il quale condusse per primo uno studio organico sul tema della vittima, nacque la “vittimologia”.
– La vittima del reato può interagire in qualche modo col suo carnefice, ed assumere quindi un ruolo attivo nel reato?
Sempre citando Hans Von Hentig, possiamo dire che egli si soffermò a lungo sullo studio della vittima del reato, analizzando i possibili rapporti che possono intercorrere tra il criminale e la vittima, tuttavia dobbiamo ricordare che il primo studioso che utilizzò il termine “vittimologia” fu Wertham, psichiatra statunitense di origini tedesche.
Lo stesso Wertham infatti si sofferma sullo sviluppo di una sociologia della vittima, su uno studio che verte alla vittima del reato, con riferimento specifico all’omicidio. Wertham intuì che la vittima non ha sempre un ruolo passivo nel reato, ma può interagire con il suo carnefice. Senza alcun dubbio, il modo di essere della vittima e il suo atteggiamento possono contribuire a determinare l’azione criminale a suo danno.
La partecipazione morale della vittima
– Dottor Feltri siamo curiosi di sapere se ci può essere una ‘’partecipazione morale’’ della vittima all’azione criminale.
Si è parlato indubbiamente anche di una partecipazione morale della vittima all’azione delittuosa. Nel 1956, Benjamin Mendelsohn, coniò il termine vittimologia intesa come autonoma scienza della vittimalità, sebbene la nascita della vittimologia come scienza empirica viene fatta risalire al 1948, l’anno in cui Von Henting pubblicò il suo testo“The criminal and his victim”. Vi parlo di Mendelsohn perché fu lui a definire nei suoi studi la cosiddetta ‘’partecipazione morale della vittima’’ all’azione criminale, stilando una scala in base alla quale esistono sei categorie di vittime :
– la vittima del tutto innocente, ovvero quella che ha un ruolo meramente passivo;
– la vittima imprudente, ossia, come dice la definizione stessa, quella che a causa del suo comportamento imprudente si pone in una situazione di rischio;
– la vittima che assiste o che coopera con altri nella commissione del crimine;
– la vittima provocatrice, che in qualche modo, con i suoi comportamenti istiga il criminale;
– la vittima con altissimo grado di colpa, ad esempio, il criminale che aggredisce una persona e viene da questa ucciso per legittima difesa;
– la vittima immaginaria o simulatrice.
Si tratta, come vediamo, di una classificazione delle vittime in base al loro grado di colpevolezza in un determinato crimine, ossia in base a quanta responsabilità è possibilie attribuire alla vittima all’interno di un’azione deviante.
Caratteristiche personali della vittima che contribuiscono alla sua vulnerabilità
– Dr Feltri, quali caratteristiche personali della vittima giocano un ruolo nel determinare l’interazione con il criminale e dunque la sua vulnerabilità?
Esistono delle caratteristiche personali della vittima che giocano un ruolo fondamentale nel determinare l’interazione con il criminale e di conseguenza la sua vulnerabilità. Le caratteristiche personali, fisiche, psicologiche e sociali della vittima potenziale assumono la veste di fattori predisponenti al crimine.
Nello specifico queste categorie sono:
– I minori di età, i quali rientrano tra i soggetti maggiormente esposti alla vittimizzazione a causa della loro debolezza fisica e mentale, e la minore capacità di resistenza o reazione.
– Le donne. Il genere femminile è maggiormente vulnerabile, a causa della minore prestanza fisica e minore capacità di difesa nei confronti degli aggressori.
– Soggetti anziani. L’età influisce senza dubbio sul rischio di vittimizzazione per il decadimento delle facoltà fisiche e mentali, nonchè da un punto di vista sociale.
– Mentalmente deficitari o disturbati. In questa categoria rientrano i malati di mente, i tossicodipendenti e gli alcolisti. Ed infine abbiamo la categoria degli immigrati e le minoranze, vulnerabili a livello sociale.
La predisposizione innata a diventare vittima
– Dr Feltri si sente spesso parlare di ‘’vittima latente’’. A riguardo cosa ci dice?
Per quanto riguarda il concetto di “vittima latente”, si potrebbe affermare che alcuni soggetti hanno una predisposizione a diventare vittime di reati e, in un certo senso, ad attrarre il proprio aggressore. Esiste una predisposizione generale riscontrabile negli individui soggetti a continui episodi di vittimizzazione e che pertanto tendono psicologicamente, per così dire, ad essere vittime. Diverse sono le predisposizioni speciali, denominate anche specifiche. La predisposizione, in tal caso, è dovuta alla presenza di alcuni specifici fattori socio-demografici e psicopatologici.
‘Si ringraziano Biopharmacie e Istituto Pasteur di Parigi per la gentile concessione di questa intervista’
di Vito Franco