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La nostra società non ha ancora risolto tutti i suoi problemi, che non sono più quelli di venti o trent’anni fa, quando non esisteva il benessere che vi è adesso e molte cose erano diverse, ma sono problemi nati dalle situazioni in cui si vive. Uno di questi, che caratterizza la società in continuo movimento, è la crisi della famiglia.

Da tempo, la famiglia è oggetto di critiche, ritenuta il luogo degli egoismi, della meschinità, dell’ipocrisia, del conformismo, di ogni male dove gli standard educativi stanno mutando: il narcisismo e l’immagine dominano ovunque, per cui aumentano le pressioni sui figli perché “onorino” la famiglia con buoni voti a scuola, una bella presenza, l’acquisizione di sempre nuove abilità da sfoggiare in società. Il figlio, insomma, come prolungamento del narcisismo dei genitori. Capita che sempre più bambini rimbalzino da un posto all’altro, nell’arco di una stessa giornata, come palline da flipper, senza aver tempo per il gioco, l’ozio, senza conoscere la bellezza del trascorrere lento delle ore e delle giornate.

È una cultura di cui non sono responsabili soltanto i genitori, ma soprattutto i media, con la martellante proposizione di modelli inarrivabili di bellezza e di successo.

La famiglia pur essendo in crisi rimane sempre e comunque il primo ambiente e la prima istituzione per la formazione e lo sviluppo umano, anche se oggi sempre meno adempie la sua funzione di istituto di istruzione ed educazione.

La crisi della famiglia ha un’origine sociale, non è possibile negarla o liquidarla come semplice sintomo di degenerazione e decadenza.

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Dalla famiglia patriarcale alla nucleare
L’autorità familiare trovava una giustificazione fino a quando la famiglia garantiva ai suoi membri protezione e calore. La proprietà ereditaria costituiva un solido motivo d’obbedienza per gli eredi. Oggi, in un mondo dove la capacità tecnica e l’abilità di fronte a ogni situazione cominciano a esser decisive per la sorte di ciascuno, e dove la proprietà borghese ha perduto ogni contenuto, il concetto di erede si svuota d’ogni senso.

Nella famiglia patriarcale, convivevano, in forma allargata, varie generazioni (nonni, zii, genitori, figli, nipoti), ossia i maschi che si erano sposati e avevano a loro volta dei figli. Non rimanevano in famiglia le figlie sposate perché dopo il matrimonio andavano a vivere nella cascina del marito. La famiglia, se era grande, alla morte dei nonni poteva dividersi in più nuclei. Alle figlie non spettava l’eredità, ma era garantita la dote.

Si è passati dalla famiglia patriarcale – modello familiare prevalente nel nostro territorio fino al secondo dopoguerra – dove a prevalere era la figura del “padre padrone”, in cui l’uomo più anziano svolgeva un ruolo di assoluta preminenza, in un ambiente legato al mondo contadino e all’economia agricola che dettava i valori della comunità, ad una famiglia nucleare, composta esclusivamente da genitori e figli, caratteristica di una società proiettata verso alti livelli di consumismo, nella quale lavorano entrambi i genitori.

Il lato oscuro della famiglia
Il lato oscuro della famiglia è l’indifferenza. La vita frenetica dei genitori che lavorano tutto il giorno, distratti dalla propria carriera e dalle mete da raggiungere a tutti i costi, porta a trascurare i figli, che hanno bisogno di sostegno ma soprattutto di ascolto.

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La vita familiare diventa un continuo rincorrersi, fra parole non dette e cose non fatte per mancanza di tempo, fra crisi e rimpianti, fra sensi di colpa e goffi tentativi di recuperare il tempo perduto in termini di ascolto, di dialogo, di affetto, di partecipazione alla vita ed alle esperienze dell’altro, concentrando tutto ed il contrario di tutto magari la domenica in cui spesso ci si ritrova con il fare “indigestione” di sentimenti al “supermercato della vita”. Oggi, di fatto, i tradizionali momenti di riunione della famiglia, ad esempio in occasione dei pasti principali della giornata, non esistono più, perché gli orari di lavoro e di attività in genere di ciascun componente sono diversi. 

Il ruolo della donna
L’inserimento della donna, a parità di condizioni nel processo produttivo e in tutte le manifestazioni della vita della nazione rappresenta oltre che un fatto di giustizia, una presa di posizione che pone l’Italia alla pari con tutti le più avanzate democrazie del mondo.

La vita della donna fino a venti, trent’anni fa si svolgeva fra le pareti domestiche, gli unici compiti  che le spettassero e che potevano da lei essere svolte fossero quelli riguardanti la casa e l’educazione dei figli.

La conquista delle donne di specifici ruoli sociali all’interno della società le ha portare a non essere più madri e mogli a tempo pieno. In caso di separazione, infatti, una donna può ritrovarsi da sola, senza adeguati mezzi di sussistenza e oltre tutto, con i figli da mantenere. In una situazione di normalità, i figli, da parte loro, hanno ormai le giornate piene di impegni: oltre alla scuola, seguono tante altre attività (palestre, centri sportivi, corsi extrascolastici, etc.) che li impegnano praticamente per tutta la giornata.

A differenza di ieri…
Oggi a differenza del passato si sta in famiglia con molto più agio e libertà di prima. Berger in “La dimensione sociale della vita quotidiana” sostiene che «quella in cui viviamo è una società complessa che negli ultimi vent’anni è stata caratterizzata da profondi mutamenti sociali e culturali, da rapidi processi di trasformazione».

Infatti vivendo in una società in continuo movimento porta l’individuo ad avvertire un senso di insicurezza, di perdita dei valori e delle certezze. La famiglia di oggi come quella di domani non potrà più essere quella del passato. Tutti siamo chiamati a realizzare la propria famiglia, costruendola e fortificandola giorno dopo giorno; perché è proprio a partire dalla famiglia che si programma il destino di un essere umano.

Di Marco Arnesano

Testi consultati:

(a cura di) Horkheimer – Adorno Th.W., Lezioni di sociologia, Einaudi, Torino 1966

C. Saraceno, Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna 1996