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Il ‘Boa’ è Kevin Prince Boateng, centrocampista ghanese in forza al Milan, che giovedì scorso si è reso protagonista di un gesto estremo, scagliando il pallone contro la tribuna e abbandonando il campo, dopo ripetuti cori razzisti indirizzati a lui e ad altri suoi compagni di squadra, durante l’amichevole contro la Pro Patria. Sono bastati 26′ sul terreno di gioco di Busto Arsizio perché il fantasista perdesse la pazienza, decidendo di non proseguire con l’evento sportivo.

Il brutto è il razzismo negli stadi, un fenomeno che esiste da troppo tempo e che è ancora troppo forte in Italia, dove lo vediamo ripetersi non di rado. In questo ultimo caso i bersagli sono stati i milanisti Boateng, Niang, Muntari ed Emanuelson, ma tutti ricorderanno analoghi insulti all’indirizzo di Balotelli o dell’ex messinese Zoro, deciso ad abbandonare il campo durante un match di serie A o, ancora, spostandoci in Spagna la reazione di Eto’o (allora al Barcellona) che segnò ed esultò imitando uno scimpanzé dopo che i tifosi avversari lo avevano insultato durante tutta la partita paragonandolo a una scimmia.

I cretini, sono quei pochi che all’inizio del 2013 non sono ancora in grado di andare oltre la soglia di ignoranza che li spinge a varcare i tornelli di uno stadio sportivo per inveire contro atleti che hanno il colore della pelle più scuro del loro. Non solo: cretini sono anche (o forse ancora di più) quelli che provano addirittura a giustificare questi comportamenti. Sembra un paradosso, eppure anche questa volta ce ne sono stati.

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Dopo che Boateng aveva giustamente parlato di “vergogna” e il capitano del Milan Ambrosini spiegato di “voler dare un segnale forte a questa gente”, i giocatori hanno ricevuto la solidarietà del tecnico Allegri, del presidente della Pro Patria Pietro Vavassori e del presidente della Fgci Giancarlo Abete.

Al contrario il sindaco di Busto Arsizio Gigi Farioli (Pdl) non ha perso l’occasione per commettere un brutto autogol: “Questa non è gente di Busto – ha puntualizzato – qui non siamo a Verona”. Come se la cosa importante fosse il fatto che gli ultrà razzisti non fossero cittadini del suo comune e non il gesto antisportivo e antiumano in sé e come se il razzismo fosse un’esclusiva della città scaligera. Quella di Boateng, sempre secondo il primo cittadino del paese è stata una “reazione spropositata”.

Ovvero: il problema è stato il gesto del giocatore, che calciando il pallone contro la tribuna “a 200 km/h avrebbe potuto colpire un bambino”. Il sindaco non capisce un punto fondamentale – a parte il fatto che nella zone degli ultras razzisti non c’erano bambini – non comprende quanto il razzismo vada oltre lo sport e possa far male più di una pallonata. Forse non sa che i bambini presenti allo stadio, si sarebbero fatti molto più male se Boateng avesse fatto finta di niente e avesse in questo modo normalizzato l’onda razzista che lo stava investendo.

Una pallonata (contro un muro) è educativa, uno sfogo per dire basta a questo scempio che altrimenti rischia di essere giustificato.

Tornando ad Abete, lascia alquanto perplessi una sua dichiarazione esternata subito dopo aver preso le difese dei giocatori milanisti: “(il gesto di Boateng) è condivisibile in quanto si trattava di una partita amichevole (…) c’è la preoccupazione che per pochi delinquenti paghino tante persone per bene”.

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Non si può che essere d’accordo con quest’ultima frase, gli ultras razzisti erano nettamente in minoranza e dopo lo sfogo del ‘Boa’ si sentono chiaramente tanti applausi del resto dello stadio, attraverso l’audio dei relativi video presenti su youtube. Quello che fa tentennare è il fatto di voler sottolineare che la protesta è stata giusta in quanto Milan-Pro Patria era un’amichevole. Come a dire guai se lo fai in campionato.

Il pensiero non può che andare alle televisioni che hanno comprato i diritti sulle partite e alle spropositate somme di denaro che ci girano intorno. Fermare una partita sarebbe una perdita inaccettabile per quelle pay tv  che con i loro congrui investimenti mantengono finanziariamente a galla il calcio nostrano.

Il razzismo sarà pure una brutta storia, ma non mettiamoci contro le televisioni, altrimenti queste ci tagliano i fondi.

“Continuiamo così, facciamoci del male” diceva Nanni Moretti in Bianca e noi continuiamo a trovare delle scuse per difendere i gesti cretini e ignoranti. Continuiamo a sottolineare che era una partita amichevole, come se avesse importanza il target del match, piuttosto che quello che sia successo.

Se vogliamo che il calcio torni a essere lo sport più bello del mondo, dobbiamo partire dalle piccole cose, cominciando a farlo tornare uno sport.

di Luca Romeo