“I russi, i russi, gli americani”. Il compianto Lucio Dalla li aveva inseriti in quel capolavoro che è Futura, suo pezzo del 1980. Si era entrati nell’ultimo decennio di guerra fredda, i Pink Floyd avevano da poco lanciato Another brick in the wall e il cantautore bolognese, pago di quella fiducia verso un futuro migliore, aveva inserito i protagonisti della contesa in una canzone di una dolcezza straripante, in una poesia d’amore per il partner, ma anche messaggio di speranza per i figli di quegli anni.
La Storia, quella con la S maiuscola, fa il resto: dopo nove anni crolla il muro di Berlino e poco dopo, questo evento segna la fine dell’Unione Sovietica. La guerra fredda implode facendo meno vittime di quanto si fosse temuto.
Futura può crescere in un mondo più sicuro: i russi e gli americani hanno fatto la pace e si può tornare a “contare le onde del mare e alzare la testa”. Oppure no?
C’eravamo tanto odiati e ora non è che riusciamo ad amarci poi tanto. I rapporti tra Stati Uniti e Russia non sono mai stati idilliaci come nei sogni dei pacifisti più utopici e ancora oggi i due Paesi non si risparmiano alcuni screzi che – seppur apparentemente non violenti – mettono nuovamente a rischio la vita delle persone.
La nuova disputa intercontinentale, si gioca sulle adozioni dei bambini russi da parte degli Stati Uniti, vietate da Putin, a partire dal dicembre del 2012. Il motivo? Il divieto di entrare sul suolo americano per tutti i personaggi legati alla misteriosa morte di un dissidente russo, Sergei Magnitsky. L’avvocato è deceduto in circostanze sospette dopo un anno di detenzione in un carcere del suo Paese a soli trentasette anni, mentre stava cercando di far luce su diversi casi di corruzione da parte di alcune imprese russe, in un’indagine che riguardava da vicino anche il Cremlino.
Il divieto di soggiorno firmato da Obama, è stato preso come un’offesa da parte di Vladimir Putin, il quale ha pensato bene di proibire agli americani le adozioni di bimbi russi disabili e abbandonati. Giovanissime vite che oggi – secondo il corrispondente da Mosca del Corriere Nicola Lombardozzi – sarebbero circa settecentomila. Un vero e proprio “esercito di bambini senza speranza”, come lo stesso giornalista li definisce, ai quali Putin non intende guardare in faccia, ferito nell’onore dalla decisione di Washington sul caso-Magnitsky.
Eppure le cifre parlano chiaro: dal 2002 sono stati ben 80mila i piccoli abbandonati e salvati dalle adozioni Usa, facendo una media, circa 8mila all’anno.
Il 19 dicembre, a Mosca, il regista televisivo e cinematografico Yurij Grimov, molto popolare in patria, ha tentato una protesta di piazza davanti al Parlamento, per impedire la proclamazione della legge il giorno prima della sua messa in atto, ma la manifestazione è finita – come spesso accade – tra le manganellate della polizia e una decina di stati di fermo.
È bastata una scintilla, perché la guerra fredda si trasformasse in una guerra di adozioni e anche se il mondo dell’informazione è meno toccato rispetto agli anni dell’Unione Sovietica, restano in gioco le vite di decine di migliaia di bambini senza una famiglia.
Tornano in mente le famose parole urlate da Sylvester Stallone in Rocky IV, quello in cui il pugile affrontava proprio un russo, Ivan Drago, e che alla fine del match scandisce: “Se io posso cambiare e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare”. Eppure qui pare non sia cambiato poi molto.
Rocky IV è uscito nel 1985, quando Futura aveva già cinque anni e si apprestava ad andare a scuola, sempre sulla cresta di quell’onda di speranza partita dalla voce dei Roger Waters e dalla musica dei Pink Floyd. Oggi quella speranza sta marcendo. Oggi Futura è grande, ma sta ancora aspettando “di vedere una luce e di sentire una voce”, forse perché ha ancora paura del domani.
Forse perché, in questo mondo, le cose e le persone non cambiano mai.
di Luca Romeo