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News · Società e cultura

Siete mai stati sulla scena di un crimine?

By francesco marino on 10 Dicembre 2012

(fonte web)

(fonte web)

(fonte web)

(fonte web)

(fonte web)

(fonte web)

(fonte web)
(foto fonte web)

Prima regola: congelare la scena
Ricostruire una scena del crimine, non è così semplice, come ci viene illustrata nelle più popolari serie tv americane dove, con un brevissimo sopralluogo, si riesce a trovare, repertare, e portare in laboratorio un sostanzioso numero di elementi utili ai fini dell’indagine.

Purtroppo la ricerca è un processo lento, cavilloso e accurato: si perlustra tutto il perimetro, lo si delimita se questo non è già circoscritto da mura, nel caso di una stanza, e nessuno può entrarci al di fuori degli inquirenti, incaricati del caso.

Questo per evitare l’inquinamento delle tracce, già “stropicciate”, dagli operatori del 118, i primi ad arrivare nel tentativo di rianimare la vittima, ma anche dai familiari i quali se abitanti sotto lo stesso tetto, di rientro, presi dal panico modificano il paesaggio o, se nel caso il delitto è stato consumato all’esterno, gli agenti atmosferici renderanno molto difficile il repertamento e lenta l’analisi.

Quindi si cercherà come meglio possibile di proteggere questo teatro e rilevare quante più tracce possibili dalla zona, per evitare la dispersione o lo smarrimento, attraverso teli coprenti e materiale igienico.

Ecco come agire
Tale processo segue precise metodologie. La scientifica infatti, segue sempre una linea guida standard nel repertamento, al fine di non incorrere in confusione, nell’analisi in laboratorio. Si acquisisce il materiale dal generale al particolare, poi dall’esterno all’interno, da destra a sinistra, dal basso verso l’alto, in modo che, coloro i quali analizzeranno in laboratorio le tracce, sapranno interpretare gli elementi presi da parte degli agenti di sopralluogo.

Di fondamentale importanza è la fotografia, valida nella descrizione e ricostruzione dell’accaduto, poi si cercano altri indizi e si distinguono, con appositi numeri o lettere, per indicare la posizione precisa di rinvenimento, si indica il colore, la forma, l’odore, il materiale e si inizia a tracciare una prima idea sull’accaduto, sul comportamento dell’offender a seconda del modo in cui ha lasciato la scena, se in disordine o in ordine, se con dei segni identificativi del suo modus operandi; in questo modo paradossalmente, si riuscirà a restringere il campo seppure in modo propedeutico e chiaramente, non definitivo.

(fonte web)
(foto fonte web)

L’identificazione delle tracce biologiche e dattiloscopiche sono attualmente tra le più innovative scoperte della scienza criminalistica. Quando si trova un’impronta digitale però, può essere che non essendo schedata, non si riesca a trovare comparazione e quindi attribuirla a qualcuno, infatti solo nell’80% dei casi queste sono leggibili, inducendo di conseguenza, la ricostruzione in laboratorio.

Impronte
Le impronte palmari e plantari sono uniche e inimitabili. Non esistono infatti, due persone con lo stesso disegno digitale, per questo è utilissima quest’informazione, in quanto si indaga su un unico individuo e si mira a trovare il colpevole, in modo selettivo.

Ciò per cui si indaga nella maggior parte dei casi, sono le impronte latenti, quelle che non si vedono ad occhio nudo, ma che con strumenti adeguati, altamente tossici e pericolosi, come le polveri dattiloscopiche, la ninidrina, i raggi UV, il cianoacrilato, i vapori di iodio, il gran blu, si portano alla luce.

Partendo con le polveri dattiloscopiche, disponibili in diversi colori: grigio, nero, bianco, si ha un forte efficacia quando le impronte si legano alla parte acquosa della pelle. L’utilizzo di queste sostanze deve essere effettuato solo da esperti, e con adeguate precauzioni. Diversi poi, sono i tipi di polveri, tra queste quelle magnetiche, utilizzate in superficie, in particolare su quella sebacea, li dove è più facile la reazione.

A seguire, la ninidrina, un reattivo sensibile agli amminoacidi contenuti nell’essudato, risultante con un colore blu scuro o porpora, porta in superficie le impronte latenti. L’ultravioletto invece, si utilizza per quelle superfici che non possono essere trattate con sostanze. Il cianoacrilato, meglio conosciuto come attack, evidenzia le tracce su superfici lisce e levigate, questo processo avviene mediante evaporazione dell’estere in un ambiente umidificato al 70% e tenuto a temperatura costante.

I vapori di iodio vengono assorbiti dalle sostanze grasse presenti nel segno, colorandole di marrone o porpora, ma utilizzate su impronte deposte massimo 5 giorni, prima del trattamento. Infine il gran blu, permette di vedere una sovrapposizione di impronte su un oggetto manipolato.

Fatto ciò in laboratorio si provvederà alla scansione e all’inversione di posto e di colore delle tracce, che consentiranno l’identificazione del colpevole , se queste corrisponderanno a quelle catalogate nello schedario del pc.

di Vito Franco

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