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“Noi siamo i giovani, i giovani più giovani…” ma chi sono i giovani? Oggi questo ritornello è stato riportato al successo dal rapper romano Er Piotta, che nel 2002 ne ha fatto una cover ben riuscita rispetto all’originale, firmata da Mogol nel 1964 e cantata dall’italo-francese Catherine Spaak, più famosa come attrice che come cantante (è lei la figlia di Vittorio Gassman ne Il sorpasso di Dino Risi).

Ma come sono i cambiati, i giovani, nel giro di mezzo secolo? E, soprattutto, è possibile raccontarli, a prescindere dalle peculiarità che li differenziano (oggi più di ieri) a maggior ragione nel modo di pensare?

Ci ha provato Viacom International Media Network, con la mega-ricerca “Next normal”. Le regole del gioco sono semplici: intervistare 15 mila persone nate dal 1981 al 2001, divise tra 24 Paesi, chiamarli tutti Millennial, in modo da avere l’illusione di poterli raggruppare in un’unica categoria, sentire come la pensano rispetto ai ‘temi caldi’ dell’attualità, dal lavoro all’economia, e riuscire finalmente (o avere la presunzione di) rispondere alle fatidiche domande: “Chi sono i giovani? Come vedono il mondo?”.

Di quella che potrebbe apparire come una classica ‘americanata’ senza un reale valore effettivo, ha parlato Il Corriere della Sera, ovviamente soffermandosi in particolar modo sui 12 milioni di Millennial italiani interpellati per l’indagine.

E qui casca l’asino o, meglio, casca il giovane nato nello Stivale, che risulta infelice, insoddisfatto e stressato tra i propri confini nazionali.

Il giovane italiano infelice, gravita al quarto posto nella super classifica dei 24, davanti al coetaneo greco che, forse, di motivi per sentirsi infelice potrebbe averne qualcuno in più e la prima fonte di stress e tristezza – manco a dirlo – è la mancanza di un reddito fisso. Per la maggior parte dei giovani, avere un lavoro malpagato è comunque meglio che rimanere disoccupati, con la percentuale di chi si accontenta che sale fino al 73%.

A chi chiedere aiuti per risolvere le proprie difficoltà? Non certo al governo, non certo alle istituzioni, bensì alla famiglia. Casa dolce casa: un giovane su tre è costretto a ritornare alle dipendenze dei genitori perché il proprio impiego non è sufficiente a mantenersi. Sfiducia totale, invece, nei confronti dei nostri leader politici, parla da solo lo 0% di giovani che ha indicato il Governo come possibilità di aiuto a cui appellarsi per migliorare la situazione.

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Del resto, la vicenda esodati insegna, quella degli operai Ilva o del Carbosulcis seguono l’esempio a ruota; non si può pretendere che gli Italiani abbiano fiducia nei propri rappresentanti politici, se questi non solo non riescono a tutelarli, ma, spesso prendono la parte del vero e proprio nemico sociale.

Pertanto, non può stupire che siamo noi ad assicurarci la percentuale più alta di giovani che credono che sarebbe meglio per loro e per la loro carriera, valutare proposte di lavoro all’estero. Conclude questa sciagurata fotografia del giovane made in Italy, il pessimo dato sull’orgoglio nazionale, che ci colloca al terzultimo posto in classifica. Insomma, sono tanti i giovani che non si sentono italiani, “ma per fortuna o purtroppo lo sono”, citando Gaber.

Possiamo prendere questi dati come un’americanata inutile, possiamo credere non siano la reale fotografia dei nostri giovani. Possiamo addirittura – e qui la citazione si ferma a Fantozzi – affermare che questa “Next normal” è una “boiata pazzesca”. Oppure possiamo farci venire qualche dubbio.

Perché i nostri giovani sono così insoddisfatti, forse il mondo che hanno trovato in eredità dalla seconda parte del Novecento, non è quello spettacolo che si pensava dopo il boom economico? Perché i giovani italiani non sono orgogliosi del proprio Paese, forse perché chi lo rappresenta è più interessato alle cene eleganti e allo spread, piuttosto che ai problemi sociali della popolazione?

Perché chi è in serie difficoltà non pensa neanche minimamente a rivolgersi al Governo – e qui la domanda va posta ai nostri politici – forse perché in Parlamento i bisogni delle classi medio-basse non sono mai una priorità?

E se un giovane disoccupato prova ad alzare la voce, magari chiedendo giustizia e uguaglianza sociale in piazza, ecco il ministro di turno che invece di appoggiarlo o, comunque, cercare di aiutarlo, gli dà del choosy, che è un po’ come dargli del fannullone, ma con arrogante eleganza.

Questa è l’Italia in cui viviamo e lo sapevamo anche prima della mega-indagine americana. L’importante è che quando vengono fuori dati statistici del genere, poi non ce ne lamentiamo. Siamo così: una repubblica fondata sul lavoro (per pochi) e sui choosy. E i giovani, spesso, non possono farci nulla.

di Luca Romeo