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Era l’uomo che indagava sul caso Ilaria Alpi e sul traffico di rifiuti tossici           
Da tutti ricordato come “l’uomo delle navi dei veleni”, il capitano Natale De Grazia muore misteriosamente il 13 dicembre 1995 nel pieno delle indagini sulle navi piene di rifiuti tossici.

E’ solo di un paio di giorni fa la notizia che la Commissione d’inchiesta, presieduta dall’avvocato Gaetano Pecorella (PdL) e dai parlamentari chiamati a indagare sul “traffico di veleni”, ha deciso di riaprire il caso convocando d’urgenza una conferenza stampa. Il capitano De Grazia si sospetta sia stato avvelenato. A dirlo è la consulenza richiesta dalla stessa Commissione: “De Grazia non è morto di morte improvvisa mancando qualsivoglia elemento che possa in qualche modo rappresentare fattore di rischio per il verificarsi di tale evento”.

L’età del soggetto, il suo buono stato di salute, l’assenza di patologie pregresse e le costanti visite alle quali si sottoponeva periodicamente non lasciano intendere nessuna possibile combinazione di fattori per pensare a un malore; così come dalla stessa autopsia non rileva elementi che portano a quest’ultima conclusione. Di cosa è morto, dunque, il Capitano?

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I fatti    
Dalle testimonianze raccolte si sa che De Grazia, dopo avere mangiato, durante il viaggio in auto ha cominciato “a russare in modo strano” fino a reclinare la testa sulla spalla. Da qui la premura di svegliarlo. In primo momento sembrava rispondere ma non svegliandosi; la seconda volta gli sarà fatale e non si sveglierà più.

La prima perizia rivelerà “un edema polmonare” che i primi medici riconducono a un malore; la consulenza invece riparte da quella considerazione per evidenziare quanto fosse “massivo” l’edema polmonare riscontrato in fase autoptica, considerando l’arresto cardiaco solo secondario a quella che invece sembra essere il vero fattore scatenante: “depressione del sistema nervoso”, di cui il sonno precoce, il consistente russare, i rantolii e il vomito sono elementi che l’avvalorano. La causa? Intossicazione.

Nessuna esumazione potrebbe essere più d’ausilio, così come nessuna indagine medica e chimico-tossicologica potrà più essere messa in atto. Sono passati quasi vent’anni dall’accaduto e il tempo ha posto una consistente pietra tombale sull’accaduto. Eppure, nella relazione della Commissione d’inchiesta non mancano ipotesi suggestive circa le ragioni della morte.

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Le sue indagini
Natale De Grazia era l’uomo che indagava sulle navi che trasportavano rifiuti radioattivi destinati ad essere affondati al largo della Calabria, lungo tutta la costa. Quel giorno, il 13 dicembre, il Capitano viaggia in auto con i propri colleghi sulla Salerno-Reggio Calabria. Un pranzo veloce e poi di corsa verso l’obiettivo principale: andare a La Spezia per recuperare documenti sui cargo affondati nel Mediterraneo.

Si tratta di un momento importante delle investigazioni che da anni ormai perseguiva. Quelle carte gli avrebbero permesso di avere un quadro d’insieme delle tratte e della tipologia di rifiuti tossici, partendo da lì per giungere alla matrice. Passa solo mezz’ora dalla partenza da Nocera Inferiore (Campania) e De Grazia rantola, ha il respiro pesante e non risponde ad alcuno stimolo: si sente male e si prova a rianimarlo nel mezzo di una piazzola di sosta. Ma è tutto inutile. Pochi istanti e il Capitano muore.

La Commissione d’inchiesta non usa giri di parole nel lasciare intendere dubbi e seri sospetti che la dinamica del decesso non abbia a che fare con un semplice malore. A De Grazia si deve l’individuazione delle piste sui retroscena della morte di Ilaria Alpi, dal traffico di armi all’indagine su Giorgio Comerio, gestendone di fatto l’intera investigazione; e gli si devono spezzoni d’indagine attinenti “la sicurezza nazionale”, come verrà indicato all’allora Presidente Scalfaro.

Ad oggi le sue ricerche, indirizzate prevalentemente sulla causa dei tanti viaggi delle navi contenenti rifiuti tossici, sono l’unica vera pista che spiega le ragioni di quel che appare un omicidio per avvelenamento.

Il caso De Grazia conosce così una nuova fase, forse non quella decisiva ma in grado di indicare la sua morte come l’ennesima riconducibile ai cosiddetti “misteri italiani”, aggiungendosi a una lista ormai lunghissima.

di Pasquale Ragone