Sicuri che i vostri cibi siano sani? Ecco le contraffazioni da evitare
Sicuro che l’olio con cui condisci la tua insalata sia italiano? Sicuro che saperlo non sia indispensabile? Sicuro che tutto questo non c’entri nulla con la disoccupazione del nostro Paese? Ahinoi, le tre domande sono legate a un nuovo (ma assolutamente devastante) fenomeno che sta ingrossando la già prospera crisi economica in Italia: la pirateria agroalimentare.
Un’inchiesta de La Stampa, ha portato alla luce alcuni dati secondo i quali il ‘Made in Italy’ è diventato addirittura il terzo marchio più conosciuto al mondo e questo ha fatto inesorabilmente di lui (o, meglio, di noi) un’ambita preda di contraffattori e imitazioni.
Qualche cifra
Secondo Coldiretti, la cifra che ogni anno l’Italia perde per colpa dei prodotti ‘taroccati’ arriverebbe a superare i 600 miliardi di euro. Numeri da capogiro che, insieme al recupero del denaro che passa in nero tra gli evasori fiscali, basterebbe per farci uscire dalla crisi. Alla faccia di leggi e leggiucce che guardano sempre alle tasche dei contribuenti.
Tutto qui? Neanche per idea: un calcolo di Unaprol, segnala che per colpa delle aziende che producono prodotti italiani di imitazione, il nostro Paese sia costretto a restringere sia gli investimenti, sia l’effettiva forza lavoro nelle fabbriche, arrivando a tagliare fino a trecento mila posti di lavoro.
Un numero che non balza all’occhio tanto quanto i miliardi della pirateria agroalimentare, ma che sicuramente fa riflettere (e arrabbiare) alla luce della disoccupazione odierna, tra giovani in cerca perenne di un impiego, esodati e lavoratori in cassa integrazione.
L’intervento dell’Interpol
Particolarmente aggravatasi negli ultimi anni, la situazione ha spinto a intervenire l’Interpol e ad allargare il desk anticontraffazione, a cui lavora l’Unione Europea. Unaprol, intanto, ha annunciato che entro il 2012 partirà con corsi specifici per il riconoscimento del prodotto originale, basato su colore, odore e assaggio.
Il campanello d’allarme lanciato dal presidente dell’associazione Pietro Sandali, riguarda soprattutto l’olio d’oliva, uno dei prodotti più regolarmente spacciato per italiano e che invece potrebbe anche arrivare dall’altro capo del pianeta.
“Il test per riconoscere l’olio d’oliva originale – spiega Sandali – non è da sottovalutare perché può essere portato come elemento di prova in caso di processo penale”. Qualcosa del genere potrebbe presto accadere anche riguardo gli spaghetti coreani, il marchio ‘Parma salami’ messicano e il vino Barbera prodotto in Romania; prodotti pseudo-italiani ormai diffusissimi nel mondo.
Affidarsi a esperti per riconoscere un olio d’oliva prodotto in Italia sembra un paradosso,eppure, la crisi economica, passa anche da qui.
di Luca Romeo