Ogni genere musicale ha i suoi re e le sue regine
Il genere del Soul ha Aretha Franklin, il cui soprannome è letteralmente ‘The Queen of Soul’; Elvis ha lasciato un segno nel Rock al punto da non scrollarsi più di dosso il nome di ‘King of Rock’n’Roll’ datogli nel 1956, a soli due anni dall’inizio della sua carriera.
Se si parla di musica pop, invece, è impossibile non pensare a Michael Jackson, una delle figure più controverse e discusse del ventesimo secolo.
La vita di Jacko è stata caratterizzata da una serie di insicurezze, calvari e malesseri eguagliati da pochi altri, ed è resa anche più tragica dalla fonte della maggior parte dei suo demoni: la sua famiglia.
In breve
Ottavo di dieci fratelli, l’inizio della carriera di Michael fu nella band di famiglia – i famosi Jackson 5 – alla tenera età di otto anni e fu anche l’inizio di complessi che la star si sarebbe portato dietro per tutta la vita.
In varie interviste, Michael dichiarò di essere stato sottoposto dal padre Joseph ‘Joe’ Jackson – a cui confessava di dover parte della sua abilità – ad un regime di ‘allenamento’ che rasentava il militarismo, al quale andava aggiunto un abuso fisico e mentale, identificando così l’origine della profonda insoddisfazione che MJ ha sempre provato nei confronti del suo aspetto fisico.
L’ascesa come solista arrivò nel 1979 in seguito all’incontro con Quincy Jones ma la vera consacrazione di Michael Jackson arrivò tre anni più tardi con l’album Thriller, che rimane tutt’ora l’album più venduto della storia della musica.
Gli anni immediatamente seguenti furono i più floridi della sua carriera e quelli che costruirono gran parte della sua immagine e della sua fortuna, grazie anche al suo impegno in opere di taglio filantropico, tra le quali spicca la collaborazione con Lionel Richie che portò alla stesura di We Are The World.
Gli anni ‘80 furono però anche l’inizio della sua spirale di declino, a cominciare dai suo sempre più numerosi problemi di salute. La condizione chiamata ‘Vilitigo’ aveva cominciato a schiarire la sua pelle e combinata con il Lupus; lo lasciarono estremamente sensibile alla luce solare e si era già sottoposto a diverse rinoplastiche in seguito a vari incidenti, portando alla deformazione del suo profilo.
Dagli anni ‘90 in poi, la parabola di Michael era sempre più in discesa. I diversi processi per pedofilia, l’investimento fallimentare nel ranch di Neverland, due matrimoni falliti – il primo con la figlia di Elvis Presley, Lisa Marie -, voci di bancarotta, tutte situazioni che gli impedirono di concentrarsi appieno sulla sua musica.
La dipendenza e la morte
In questo periodo forse la sua unica gioia fu la nascita dei suo figli, che tuttavia non fu sufficiente ad impedirgli di diventare dipendente dal Propofol, un sedativo di natura ipnotica che ebbe una parte centrale nella sua eventuale dipartita il 25 giugno del 2009. Solo pochi mesi prima, MJ aveva annunciato che stava preparando un nuovo tour mondiale, forse gli ultimi concerti prima di un suo ritiro definitivo dalla scena musicale, appropriatamente chiamato ‘This is it’.
La sua morte fu forse l’evento più sentito del decennio. Vari siti web tra i quali Twitter, AOL, Wikipedia, i cui visitatori giornalieri si contano nell’ordine di milioni, andarono in crash a causa dell’eccessivo traffico; e fan vecchi e nuovi comprarono milioni di copie delle sue opere, rendendo i suoi album i più venduti del 2009.
Il mondo si struggeva per la scomparsa di uno degli artisti più brillanti della storia della musica, e tuttavia col passare del tempo sembra venire alla luce solo e sempre più del torbido.
Le indagini sulla sua morte hanno portato alla luce che la causa della morte fu una dose eccessiva di Propofol somministratagli dal suo medico curante, Conrad Murray, e che la star era oramai completamente dipendente dal farmaco, così preso da ansie e pensieri negativi che ne necessitava anche semplicemente per dormire.
Le battaglie legali dei suoi familiari sull’eredità lasciata dal cantante sono oramai leggendarie ed il quadro che emerge da ogni nuova investigazione – la più recente è quella del giornalista Randall Sullivan, che ha di recente pubblicato un libro su Michael Jackson – è quella di una persona circondata ma paradossalmente sola, da cui tutti sembravano voler qualcosa o usarlo per un fine, il più delle volte monetario, che si andava solo ad accumulare alle ansie personali del re del pop: la sua salute, il futuro dei suoi figli, la bancarotta.
Se neanche i suoi parenti più stretti potevano essere un conforto non è sorprendente l’affetto che nutriva per i suoi figli, al punto da decidere di averne un terzo da una madre surrogato tramite inseminazione artificiale.
In giovane età, siamo fondamentalmente puri. Mentiamo, certo, ma i fini sono semplici, facilmente individuabili, non abbiamo la capacità mentale di nascondere i nostri veri intenti dietro un numero potenzialmente infinito di maschere e strati di menzogne, portando le nostre vittime alla sfiducia e anche ad uno stato di “giustificata” paranoia.
Per Michael, i suo figli erano il suo ultimo porto sicuro, le uniche persone che poteva amare incondizionatamente e da cui poteva ricevere quello stesso affetto. Una delle canzoni tratte dal suo album ‘History’ si intitola ‘You Are Not Alone’. Tu non sei solo.
La morte di Michael Jackson è un caso semplice. Le usuali voci su complotti e assassinio si sono spente forse più velocemente del solito. Resta straziante l’incapacità di uscire dai problemi di una vita nonostante la voglia di superarli. Sicuramente non abbastanza da eliminare quell’ansia di vivere che lo ha ultimamente strappato ai suoi figli e devoti fans.
di Simone Simeone