Una congiura, un figlio traditore, alcuni oscuri segnali: la storia dell’uccisione di Giulio Cesare
La scalata di Gaio Giulio Cesare al potere durante l’Impero Romano ha ben pochi eguali. Dopo le prime esperienze politiche Cesare passa alla Questura e poi al Consolato; dopo l’episodio della congiura di Catilina nasce il triumvirato, con Crasso e Pompeo, vero successo politico di Cesare.
Diventato Console, raggiunge l’apice della fama dopo la campagna in Gallia, che riesce a concludere vittoriosamente in poco tempo. Nel 49 a.C. raggiunge la massima carica a Roma, quella di dittatore; la conquista del titolo sarà anche la sua condanna a morte.
La goccia mortale e i presagi
Il 14 febbraio del 44 a.C. arriva la goccia che fa traboccare il vaso: viene concessa a Cesare la nomina di “dittatore a vita”. Anche i più scettici si convincono così che l’ascesa di Cesare sia la causa della fine della libertà repubblicana, tanto declamata ed esaltata negli anni precedenti.
Nasce in questi ambienti l’idea dell’omicidio più famoso ed antico della penisola italica. In quei giorni Cesare scorge segnali inquietanti, premonitori della vicina fine. Prima un gruppo di cavalli, radunato per essere offerto in sacrificio al dio del fiume Rubicone (il corso d’acqua che allora separava Roma dalla Gallia Cisalpina), si rifiuta di consumare il cibo e gli animali iniziano a piangere; poi uno stormo di uccelli fa a pezzi un uccellino, che secondo la leggenda sarebbe stremato al suolo nell’esatto punto in cui, pochi giorni dopo, Cesare sarebbe stato ucciso.
Notte prima del delitto
L’ultimo nefasto presagio avviene proprio la sera prima dell’omicidio: la moglie di Cesare, Calpurnia, nota oltretutto per essere scettica in materia religiosa, viene sconvolta da incubi nei quali viene travolta dal crollo della propria dimora mentre regge il corpo del marito deceduto.
Ignorando i segnali lanciati dal cielo, il dittatore continua il suo lavoro e nel giorno ormai famoso delle idi di marzo (ovvero il giorno 15) Cesare si reca in senato. Molti uomini aderiscono alla congiura: tra di loro ci sono anche Gaio Cassio Longino (deluso per non essere stato eletto Console) e Marco Giunio Bruto, figlio illegittimo di Cesare nato, secondo le dicerie, dopo una lunga relazione con Servilia Cepione.
Tutto si compie
Cesare viene trafitto dalle famose ventitré pugnalate; sempre secondo la leggenda, il dittatore sarebbe morto coprendosi il capo (come facevano le vittime sacrificali), non prima di accorgersi del tradimento del figlio Bruto.
Restano ancora nelle memoria le sue parole di commiato: “Tu quoque, Brute, fili mi!”.
di Nicola Guarneri