(foto fonte web)
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Una penisola felice, senza più l’ombra della corruzione, in grado di combattere e annullare il disagio sociale profondo fra le classi sociali. Questa frase riassume quel che doveva essere “il manifesto” elettorale post-Dc. L’anno 1993 avrebbe dovuto segnare un cambio di passo fra “vecchio” e “nuovo”, fra “una storia di tangenti” e “il frutto di Mani Pulite”.

Curiosamente nell’anno in cui si ricorda l’inizio del ciclone Mani Pulite, un altro ciclone si abbatte sulla Repubblica italiana. Non è più lo Stato dei vari Andreotti, Cossiga, Forlani, Craxi, e una lista di tanti eccetera. Stavolta l’Italia è dei Berlusconi, dei Bossi, dei Rutelli, dei Bersani vari.

Il risultato? Quasi lo stesso. Oggi come ieri c’è chi lotta per “cambiare il sistema” a suon di referendum, con la differenza che ieri si chiamava Segni e oggi si chiama Di Pietro. Ieri c’era “la novità” rappresentata da Bossi e da quel populismo così impregnato di tradizione e provincialismo da riuscire a nascere, affermarsi e rendere roccaforte un’intera zona d’Italia, quel nord-est inespugnabile da vent’anni.

Oggi quella novità sembra chiamarsi Grillo, in grado di attirare a sé tanti voti quanto l’inettitudine e l’inefficienza esistenti all’interno della classe politica. Ieri c’era Craxi e il Partito Socialista Italiano che aveva mani in pasta dappertutto, telecomunicazioni comprese; oggi c’è Berlusconi che ugualmente ha le mani in pasta dappertutto, specie nel settore delle telecomunicazioni proprio “per grazia ricevuta” dalle scelte di Craxi.

Per il resto, “segretari di bilancio dei partiti” si chiamavano ieri, “tesorieri” si chiamano oggi; imprenditori gironzolavano attorno ai capi politici di turno ieri, imprenditori gironzolano oggi (almeno per quelli che non sono scesi in politica). Cosa davvero è cambiato in Italia? Nulla.

Non è davvero cambiato alcunché. Sono solo cambiati i nomi (non molti, a dire il vero), certamente sono cambiati i nomi dei partiti e sicuramente è cambiato il modo di fare politica (peggiorando notevolmente). Ma c’è dell’altro. Esiste un’aggravante che inizia a pesare non poco sul bilancio di uno Stato martoriato da interessi personali o di partito.

Nel 1992 si avvertiva una presa di coscienza da parte della classe politica. La consapevolezza era che non si potesse più andare avanti con lo stesso sistema, evidentemente malato e non più in grado di esprimere e soprattutto risolvere quel malessere profondo nel Paese. Quella classe politica fece un passo indietro sebbene non certo felice di quanto accadeva. Oggi questa presa di coscienza non c’è. Probabilmente la chiave di lettura sta nell’anagrafe degli stessi politici.

Dopo quasi sessant’anni di governi più o meno brillanti, gente come Andreotti poteva dire di avere dato tutto nella carriera politica; e lo stesso per tanti altri che avevano vissuto tutte le stagioni, o quasi, di una storia piena di contraddizioni e che in futuro, ne siamo certi, verrà rivalutata nell’oggettività dello sguardo storico avulso da passioni giudiziarie e talvolta forcaiole all’ennesima potenza anche laddove non era necessario né saggio.

La politica odierna è composta invece da rampolli che tanto avevano sperato un giorno di vedersi al posto dei dirigenti che all’epoca essi guardavano con ammirazione.

La voglia di potere di chi oggi ha cinquanta, massimo sessant’anni, non è da sottovalutare perché saranno gli ultimi a mollare l’osso (semmai lo faranno) coadiuvati da un’altra generazione di politici che oggi ha fra i trenta e i quarant’anni, anch’essi desiderosi di “avere diritto” di fare carriera come i loro predecessori.

Tutta questa gente vede nella politica la propria ragione di essere e il diritto-dovere di esistere. Essi sono i più pericolosi perché non capiranno quando sarà tempo di rinunciare alle carte che hanno in mano, giocando a oltranza come quei giocatori d’azzardo che punteranno sempre di più, il doppio anzi, per recuperare la precedente cifra perduta.

Ma quelle cifre che essi perdono sono i nostri soldi e quindi siamo noi, ciascuno con il suo denaro utile a sopravvivere in una società economicamente sempre più spietata.

I politici “giovani” di oggi sono il vero cancro che rischia di lasciare che tutto scorra nella speranza che domani venga un giorno migliore in grado di farli accettare dal popolo confidando nella quiete dopo la tempesta, quiete delegata a un Monti chiamato al momento della tempesta per non bruciare i rampolli della politica odierna.

Se si chiudesse qui la Seconda Repubblica sotto il segno degli scandali maturati, essi ne uscirebbero bruciati, non più candidabili per il futuro, impossibilitati a raggiungere l’agognata poltrona per passare alla storia come i loro predecessori. Allora quanto avviene in questi giorni, riferendosi ai vari Belsito, Lusi, Penati, ecc, sono incidenti di percorso o il segno che anche la Seconda Repubblica ha ormai finito i propri giochi?

E’ presto per dare una risposta. Fatto sta che stavolta la classe politica, a differenza di vent’anni fa, sarà dura a morire. Inventeranno modifiche illusorie e creeranno nuovi partiti per gettare fumo negli occhi degli elettori.

Poi ci ritroveremo nuovamente con le tangenti, con i tesorieri (che intanto avranno cambiato nome e si chiameranno “custodi amministrativi”) e con altri segretari di partito che fingeranno di non sapere cosa sia il dio danaro.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 30.4.2012)