Continuano a fluttuare come in un mare in tempesta le mille certezze e incertezze che caratterizzano le stragi del 1992. L’argomento è stato già trattato da noi in più occasioni ma, a quanto pare, le novità rimbalzano a iosa. La Procura di Palermo, guidata dal procuratore Lari (con gli aggiunti Gozzo e Bertone) e dai sostituti procuratori Marino, Paci e Luciani, giunge in queste ore a quella che può definirsi una vera e propria svolta nelle indagini per la morte del giudice Paolo Borsellino.
Fino a oggi erano otto gli indagati per l’attentato che il 19 luglio 1992, a Via d’Amelio, elimina dalla scena uno dei magistrati più attivi nella lotta alla mafia. La tesi paventata in questi anni vede l’intervento dei servizi segreti deviati assistere Cosa Nostra nel piazzare l’esplosivo nell’auto “126”, poi esplosa uccidendo Borsellino.
Oggi quella tesi va incontro a una vera e propria svolta in seguito alle confessioni del pentito Spatuzza. Le indagini della Procura ribaltano la scena chiedendo la scarcerazione di quegli otto inquisiti e chiamando in causa sette persone che avrebbero avuto un ruolo attivo nella strage. Seguendo questa nuova versione dei fatti irrompe sulla scena l’esistenza di una talpa nel palazzo dove viveva la madre del giudice Borsellino.
La talpa avrebbe seguito i movimenti del magistrato occupando un appartamento al piano terra dello stabile indicato e sarebbe la stessa persona che ha piazzato l’esplosivo nella 126.
Quest’ultime informazioni sono di enorme rilevanza per le indagini. Si è sempre parlato infatti della presenza e dell’ausilio da parte dei servizi segreti (deviati?), ad esempio, nella fase di posizionamento dell’esplosivo e nell’azionamento del dispositivo utilizzato.
La nuova pista sconfessa tale ipotesi. Finora nessuna traccia permette di confermare la presenza dei tanto paventati agenti dei servizi e non trova ancora conferma l’ipotesi che l’esplosivo sia stato azionato dal celebre castello del Monte Pellegrino ritenutane la sede.
Il tritolo sarebbe stato attivato quindi dagli uomini di Cosa Nostra. Ma c’è di più. Il luogo dal quale è partito tale azionamento non sarebbe la zona dell’Utveggio. A premere il pulsante sarebbe stato il boss Giuseppe Graviano nascosto dietro un muretto di Via d’Amelio.
Oggi la strage del 19 luglio 1992, costata la vita al giudice Paolo Borsellino, inizia quindi ad avere nomi e cognomi associati ad azioni ben precise. La talpa sarebbe Salvatore Vitale, ufficialmente gestore del maneggio “Palermitana equitazione salto ostacoli”, pare vicino al boss Giuseppe Graviano.
Ma Vitale è già in carcere da anni, condannato a dieci per reati di mafia ma soprattutto all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il ragazzino tragicamente ucciso e fatto sparire sciogliendolo nell’acido. Dunque sarebbero stati due uomini, quel giorno a Via d’Amelio, a compiere una delle stragi più clamorose della storia d’Italia.
Per ora altre ipotesi non trovano riscontro negli elementi e nelle testimonianze raccolte dalla Procura di Palermo. Quanto invece indicato dal procuratore Lari è una strada ben precisa e che inizia a trovare le proprie ragioni riuscendo a farne quadrare il cerchio. Servizi segreti deviati, ordini più o meno “dall’alto” e asserzioni del genere sembrano allontanarsi definitivamente.
Probabilmente le ritroveremo un giorno come tessere di un puzzle posizionate dove giusto che sia. A oggi, quelle tessere rischiano solo di aggiungere confusione ad altra confusione. Ben venga quindi fare chiarezza su quella che potremmo definire “la base” degli eventi accaduti in quel periodo e ben vengano le condanne (o le assoluzioni come nel caso dei precedenti otto inquisiti) per trovare finalmente una verità processuale.
di Pasquale Ragone
(Articolo tratto da “International Post”, 7.11.2011)