Fino a oggi si è scritto tanto sul caso Moro ma sembra non essere mai abbastanza.
La novità di questi giorni è che all’Archivio Centrale dello Stato di Roma sono disponibili centinaia di faldoni che racchiudono la storia ancora sconosciuta del caso Aldo Moro, la drammatica vicenda dello statista democristiano sequestrato dalle Brigate Rosse dal 16 marzo al 9 maggio 1978 per un totale di cinquantacinque giorni. La documentazione presente all’Archivio è disponibile solo per pochi studiosi, e ben scelti, fra alcune delle più prestigiose testate nazionali.
Il contenuto di quelle carte affiora oggi dopo uno studio durato diversi mesi. La novità più rilevante che da esse emerge è quanto attiene alla P2 di Licio Gelli, lì nominata.
Sei giorni dopo l’uccisione di Aldo Moro, i servizi segreti continuano e per certi versi accelerano la propria attività di intelligence per comprendere quanto sta avvenendo sul territorio italiano in seguito alla tragica notizia dell’uccisione del leader democristiano, rinvenuto cadavere a Via Caetani nel cofano di un’auto Renault 4, a Roma. “Secondo i responsabili del Pci si nasconde una trama ordina, fra l’altra, dai massoni della P2”.
E’ questa la frase che gli uomini dei servizi segreti annotano su una delle migliaia di veline informative per il Ministero dell’Interno, diretto da Francesco Cossiga e poi da Virginio Rognoni in seguito alla morte di Moro. Secondo i servizi, il Pci avrebbe nutrito seri sospetti circa l’opera della P2 diretta dal Gran Maestro Licio Gelli. Oltre a darci informazioni riguardo il pensiero che circolava nella sede e negli ambienti del più importante partito comunista d’Occidente, il documento svela come della P2 e delle sue potenzialità si fosse già a conoscenza nel 1978.
La loggia massonica sarebbe passata alla ribalta solo nel 1981 grazie alla scoperta, ad Arezzo, della celebre lista di oltre novecento affiliati alla P2, fra i quali spiccavano nomi eccellenti quali i vertici stessi dei servizi segreti, così come del mondo dell’imprenditoria e del giornalismo. Infatti, al momento della scoperta della loggia sarebbero stati molti a “non sapere”, “non ricordare” e a non avere la più vaga idea di cosa fosse la loggia P2, per non parlare di Licio Gelli.
Eppure già il giornalista Mino Pecorelli, dalle pagine di Osservatore Politico aveva lanciato fino al 1979, anno della sua morte, segnali criptati con allusioni alla P2 e alle sue molteplici attività; e lo stesso lo avrebbe fatto, in modo ben più esplicito, spiegando addirittura la natura di finanziamenti, risalenti al periodo precedente il sequestro Moro, destinati a fazioni politiche fra le più disparate: “[…] Operazioni diverse hanno di volta in volta impegnato alcuni uomini ed alcuni settori della P2.
La loggia ha sostenuto Leone (elezioni ’71) e lo ha attaccato (’76-’77); ha dato una mano al partito di Moro-Miceli ed un’altra a quello di Andreotti-Maletti; […] attraverso Calvi ha finanziato i giornali della Dc (Piccoli) ma anche il Pci ha avuto decine di miliardi per i suoi giornali, Paese sera in particolare […]”. Interrogato sulla P2, l’allora segretario del Pci, Enrico Berlinguer, aveva affermato: “Devo dire che ne sono venuto a conoscenza dai giornali nel momento in cui si è cominciato a parlare degli elenchi consegnati dai magistrati all’on. Forlani, allora Presidente del Consiglio. Credo che fossimo nella primavera-estate del 1981”. Il documento oggi rinvenuto tende a riscrivere questa storia, affermando che invece anche il Pci sapeva dell’esistenza della P2 di Gelli e delle trame oscure che ne contraddistinguevano l’agire, sin dal 1978 (almeno).
Ma soprattutto quella semplice e breve velina riesce a far comprendere che, a certi livelli, in politica non esistono puri ma solo persone che cercano di compromettersi il meno possibile. Si avvicina forse il momento di riscrivere la storia umanizzando i politici del passato e rendendoli meno diavoli e meno angeli di quanto sono stati dipinti per odio o amore di partito.
di Pasquale Ragone
(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 14.5.2012)