Esattamente vent’anni fa moriva la contessa Alberica Filo della Torre. Sono stati vent’anni di silenzi, di accuse e di smentite tra storie mai avvenute e sospetti sempre rimasti ad aleggiare sui tanti protagonisti della vicenda. E’ stato così per il marito della contessa, Pietro Mattei, fra i primi a essere accusati dell’orrendo delitto ma senza mai avere la possibilità di scagionarsi pienamente allontanando dubbi e incertezze. Qualsiasi gesto e qualsiasi frase sono sempre stati visti dai più maliziosi come il segno di una mezza confessione o dell’essersi tradito, di un passo falso.
Invece Pietro Mattei non aveva nulla da nascondere. Si era parlato di servizi segreti perché un amico della coppia era stato contattato fra i primi in seguito alla morte della contessa; oppure c’era stato chi aveva insinuato amanti e uomini misteriosi che non avrebbero retto alla bellezza e al contempo alla gelosia per l’affascinante contessa. Nulla di tutto ciò. Il domestico, il più semplice degli omicidi si risolve proprio accusando il domestico perché all’apparenza insospettabile e privo di motivazioni. Verrebbe da chiedersi come sia possibile che proprio colui che ha più di tutti bisogno di lavorare, uccida la propria datrice di lavoro.
La domanda è legittima. Ma per il caso dell’Olgiata si è trattata di una domanda inutile, quasi fuori luogo. Manuel Winston è l’assassino e non ci sono più dubbi. La mattina del delitto, la contessa si accinge a entrare nella camera da letto e scopre il maggiordomo intento a rubare dei gioielli. Solo qualche tempo prima con Winston c’erano stati diverbi fino alla richiesta di lasciare casa, alla ricerca quindi di un’altra sistemazione.
Ma Winston non accetta il verdetto e decide di vendicarsi provando a portare via qualche prezioso. Pochi attimi e il maggiordomo viene scoperto provocando in quest’ultima una reazione istintiva: la contessa viene aggredita. Il primo tentativo è quello di soffocarla con l’ausilio di un lenzuolo; infine la donna viene colpita alla testa. Ma durante la colluttazione Winston si ferisce e proprio quelle minuscole macchie di sangue lasciate sul lenzuolo diventeranno la chiave del mistero: il Dna inchioda il maggiordomo e dopo vent’anni il delitto può ritenersi risolto.
Merito delle nuove e affascinanti tecnologie che continuano sempre più a rendere il crimine un “gioco” piuttosto che un fatto orrendo qual è. Il gioco è quello delle parti e della ricerca spasmodica di ogni dettaglio che potrebbe rivelarsi la chiave di volta dell’intera vicenda. Si tratta della stessa ricerca del dettaglio che ha spinto Pietro Mattei a chiedere l’apertura del fascicolo relativo al caso.
L’analisi del lenzuolo e il confronto con il Dna del maggiordomo regalano dopo così tanti anni la soddisfazione che almeno uno dei tanti misteri italiani abbia trovato soluzione.
E probabilmente la soddisfazione più grande è proprio quella di Pietro Mattei, il quale in occasione dei vent’anni dal delitto ha voluto ricordare la moglie e soprattutto i giorni felici passati assieme prima che le loro vite, in modo diverso, venissero distrutte. Oggi Pietro Mattei è un uomo che sembra aver trovato la serenità di un tempo; che ha finalmente permesso di centrare la verità e allo stesso tempo di cancellare le ombre che nel passato avevano spesso infangato il buon nome della famiglia e della stessa vittima.
Una lettera ha ricordato in questi giorni proprio quelle vite, prima che tutto finisse; lettera nella quale il marito della contessa si rivolge a quest’ultima come se fosse ancora in vita. E forse la contessa è ancora realmente in vita, laddove la verità non muore e il tempo non cancella i veri sentimenti.
di Pasquale Ragone
(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 11.4.2011)