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Non è una questione di colore politico: destra e sinistra hanno promesso da vent’anni gli stessi progetti cantieristici mai realizzati. Gli operai della statale Fincanteri, società leader nel settore delle costruzioni navali, hanno deciso di non attendere più alcuna promessa da parte dello Stato e di agire in prima persona; la situazione, che vede molti di loro senza stipendio da mesi e addirittura con il rischio di chiusura per la mancanza di commesse, ha superato il limite della sopportazione.

Tutto nasce dai mancati progetti, a cui lo Stato avrebbe dovuto provvedere, utili a permettere il mantenimento degli standard lavorativi tali da evitare tagli e licenziamenti.

Nello specifico, sono diverse le questioni sollevate dai lavoratori del cantiere navale, prima fra tutte l’ampliamento del bacino in cui la società potrebbe essere chiamata a operare per ristrutturare o costruire navi ex novo; basterebbe investire nel suo ampliamento per risolvere un problema che si trascina da anni.

La questione cara agli operai era già stata presentata e discussa alla presenza dell’ex Ministro dello Sviluppo Economico dell’ultimo governo Berlusconi, Claudio Scajola. Lo scandalo che ha coinvolto quest’ultimo ha poi interrotto ogni dialogo e mandato all’aria ogni promessa fatta.

Oggi, il Ministro dello Sviluppo ad interim è, ormai da più di cinque mesi il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma le questioni non sono state risolte, rendono la situazione sempre più esplosiva. In più manifestazioni e con diverse iniziative, gli operai non hanno mancato di far sentire la propria voce. Dal Governo continuano a non esserci segnali di distensione nonostante la protesta dei lavoratori sia passata recentemente per Roma.

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Nel frattempo, i licenziamenti iniziano a mietere le prime vittime: uno degli operai è stato trovato morto nel garage della propria casa, impiccato. Si tratta di un atto estremo frutto della disperazione e dell’impossibilità di tenere in vita le proprie speranze.

Non avere uno stipendio significa non avere la possibilità di costruire il proprio futuro che per i più giovani si traduce nell’impossibilità di mettere su famiglia. Ma si tratta del “male minore” se paragonato a chi invece ha già una famiglia e, come nel caso dell’operaio suicidatosi, avverte la necessità di dover sopperire ogni giorno a una situazione disastrosa per sé e per i propri familiari.

Quanto accade a Castellammare è l’emblema della condizione vissuta da tanti operai e da tanti dipendenti sull’orlo del licenziamento. La situazione drammatica sta operando, in questi giorni, da comune denominatore e da filo conduttore fra i lavoratori di tutta Italia, passando per i precari della scuola, per coloro che sono chiamati ad operare nei vari cantieri aperti ma destinati a restare incompleti per la mancanza di fondi (l’ultimo dei tagli è per i lavori del completamento della Salerno-Reggio Calabria), per non parlare di quanti sono costretti alla Cassa Integrazione o al licenziamento nelle piccole e medie aziende italiane, tessuto vivo del Paese; e addirittura la lista annovera le forze dell’ordine che lamentano tagli al personale e l’insufficienza dei fondi elargiti.

Il malessere legato al mondo del lavoro non va sottovalutato essendo quest’ultimo la prima condizione indispensabile per lasciare indietro tensioni sociali. Se poi, a una situazione già complicata, come quella descritta, si associano le difficoltà legate al problema dei rifiuti così come accade tristemente in Campania, si ha l’impressione che l’Italia di queste ore non sia altro che una polveriera in attesa di esplodere.

Se ieri il cruccio degli italiani era la mancanza di sicurezza e di legalità sul territorio, oggi il cittadino non avverte più l’esigenza di guardare al proprio esterno; oggi, il problema è il cittadino stesso privato dei suoi diritti più basilari come la possibilità di sopravvivere con dignità economica e sociale.

L’Italia, come altri paesi europei, ha già conosciuto gli effetti dell’assenza della dignità economica e sociale per il cittadino, sperimentando soluzioni estreme come la lotta di classe fatta con le armi. E’ ora compito indispensabile della politica evitare il ripetersi di una tensione che sarebbe inaccettabile e senza via d’uscita.

di Pasquale Ragone

(Articolo tratto dal settimanale “International Post”, 11.10.2010)