Da un po’ di tempo, Julian Assange ha abituato il proprio pubblico a notizie sorprendenti come la scelta di pubblicare i cosiddetti “cable” americani sulle più svariate questioni internazionali, attirando su di sé l’ira degli Stati Uniti e dividendo il mondo fra coloro che sostengono un’informazione libera da qualsiasi vincolo e quelli che invece considerano la ragione di Stato il confine che ogni notizia deve rispettare.
L’ultima novità di Assange riguarda invece il mondo dell’editoria. In un’intervista al Sunday Times, pochi giorni fa ha rivelato la pubblicazione, entro la primavera del 2011, di un’autobiografia. Seguendo il motto della “necessità virtù”, Assange ha deciso di lanciarsi nel mondo del libro per questioni prettamente economiche.
Le attuali vicende giudiziarie (ipotesi del reato di stupro nei confronti di due donne) e la necessità di doversi difendere dall’accusa di spionaggio che gli Stati Uniti incalzano, per non parlare delle ulteriori spese legali per supportare cause per diffamazione, hanno “costretto” Assange a correre ai riparti stipulando accordi editoriali che ammontano a più di un milione di sterline.
Per l’Italia, è stata la Feltrinelli ad aggiudicarsi quel che si annuncia come un vero e proprio successo annunciato. Nel libro, rivela l’autore, si parlerà principalmente delle ragioni che hanno portato dapprima alla nascita di Wikileaks e in seguito alla scelta di pubblicare i documenti riservati dell’amministrazione statunitense.
Ma ancor prima che il libro venga pubblicato, quest’ultimo sembrerebbe essere un’ottima occasione per indagare i recenti cambiamenti del rapporto fra Stato e informazione.
La vicenda di Wikileaks obbliga infatti la società civile a interrogarsi sul confine fra i doveri dell’informazione stessa e la sicurezza di Stato: quale dei due principi deve prevalere? Ma soprattutto, in un mondo ormai definito “globalizzato”, ovvero avulso da forme di conservatorismo e sempre meno compatibile col concetto di privacy, è davvero possibile porre dei confini alle notizie? In breve, è possibile controllare il flusso continuo ed esteso dell’informazione?
In relazioni a tali domande, l’atto di Assange, definito politico e sicuramente innovativo, si pone come spartiacque fra quel che potremmo considerare già come il “vecchio mondo” dell’informazione globalizzata e il “nuovo mondo” della stessa. La distinzione non risiede nell’atto di introdurre una qualsiasi notizia nel web: la novità è nella rilevanza che la notizia stessa assume. Per capire la differenza, è necessario immaginare l’informazione come un oggetto che viaggia lungo più torrenti.
Secondo gli attuali studiosi di comunicazione, le notizie che viaggiano nel web sono, appunto, oggetti che si depositano sul fondo del torrente in cui viaggiano (ovvero il web stesso) e non riescono quasi mai a confluire nel “fiume dell’informazione” rappresentato dai grandi media (televisione in primis) a meno che non siano proprio quest’ultimi a decidere di pubblicare un certo tipo di notizie.
Tuttavia, quasi mai il web riesce a sfondare la porta dei grandi media nazionali. Il gesto Assange rivoluziona tale teoria perché, non solo distrugge il muro di gomma mediatico e obbliga a mettere sul tavolo argomenti decisi dal web, ma soprattutto distrugge un tabù relativo alle informazioni di Stato.
Quella di Julian Assange, dunque, potrebbe essere ben più di una “semplice” biografia, impreziosita sia dall’importanza di Wikileaks, ovvero lo strumento utilizzato per diffondere i cable, sia dalle severe critiche ricevute da quasi tutti i governi del mondo circa la decisione di pubblicarli.
E’ proprio il contrasto fra questi due modi di pensare e fra gli strumenti di cui tali mondi, così diversi fra loro, usufruiscono, che rendono fin da ora la biografia di Julian Assange un punto di non ritorno nella storia della comunicazione.
di Pasquale Ragone